Era stremata. Tutto il giorno in motorino su e giù per la città a fare i check-in dei B&b, e poi via in aeroporto.
Aveva mangiato un toast in piedi nella sua divisa 100% acrilico e tacco cinque.
Era riuscita a fare pipì a fine turno. Lo specchio del bagno le aveva rimandato una Sara appesantita e spenta. Anche i ricci erano ammosciati. Il trucco non copriva né anni né stanchezza.
Era passata dai genitori, dove la madre le aveva fatto un rapido elenco delle sue mancanze. Le aveva ricordato la sua indolenza, ribadito la sua incostanza e rimarcato la sua proverbiale pigrizia.
Era tornata a casa zuppa di pioggia e frustrazioni.
I gatti non le erano andati incontro. Il marito non si era alzato dal divano per salutarla.
L’aveva pregata però, di non andare in giro gocciolante.
Aveva posato le buste della spesa all’entrata e buttato i vestiti a terra.
Si era fatta una doccia calda dove forse si era trattenuta troppo.
“Non si cenava quella sera?”
La tavola era apparecchiata, la minestra nel piatto e suo marito sorrideva.
“C’ho pensato io. Con i tuoi tempi avremmo mangiato alle dieci.”
Si chiese come facessero tutti a conoscere i suoi tempi quando lei non riusciva a venirne a capo.
Da quando si era svegliata non aveva spuntato alcun punto della sua lista.
Non aveva bevuto i due litri d’acqua.
Non aveva fatto la doccia fredda.
Non aveva letto né meditato.
Non aveva fatto yoga.
Non era andata a camminare.
Non aveva mangiato i raccomandati cibi antinfiammatori.
Non era andata in palestra per la sessione di rinforzo posturale.
Non era andata a farsi il linfodrenaggio per l’edema.
Non era andata dal medico per sentirsi ribadire che la sua stasi la stava uccidendo e che il suo stato infiammatorio era dovuto alla sua indolenza.
Sprofondò nel divano. Il gatto le passò vicino osservandola con occhi di rimprovero. Non si fermò a farle le fusa.
Scartò un cioccolatino e lo ingoiò. Il marito le russava accanto.
Accese la tv e finì la scatola di Lindor al latte.
Almeno una cosa l’aveva portata a termine.