La scrittura come rivoluzione interiore – Intervista a Lorenzo Bellandi

Buongiorno Lorenzo e grazie per aver trovato il tempo per farti conoscere dai nostri lettori. Parlaci di Te.

Sono Lorenzo Bellandi, nato a Barga (Lucca) nel 1991.

L’intera infanzia e preadolescenza le ho trascorse praticamente nel paese originario dei nonni paterni, e ho avuto modo di crescere in un contesto semplice, rustico, immerso nella natura, e circondato da tutto l’amore che un bambino possa desiderare. Qui c’è stato modo anche di costruire le prime ed importanti amicizie.

Con il diploma a pieni voti, si è concluso un periodo importante della mia vita, che è coinciso di conseguenza con l’inizio dell’esperienza universitaria a Pisa. Sempre affine, di base, alle materie scientifiche, ho frequentato il corso di Ingegneria Gestionale all’università di Pisa e ho conseguito la laurea magistrale con 110 nel 2017.

Sono ad oggi impiegato in un’azienda metalmeccanica della zona in cui vivo, e svolgo una professione di analista di processi industriali, in coerenza con gli studi svolti.

Successivamente alla consecuzione della laurea ho riscoperto tuttavia l’interesse per la letteratura poetica, che, unita all’escursionismo montano, rappresentano le mie due grandi passioni.

Ho scoperto, mia sorpresa, nonostante una vita spesa negli studi scientifici, di avere una predisposizione interna per la scrittura, che riesce a catapultarmi in un mondo in cui posso vivere emozioni e sensazioni estremamente amplificate ed intense, percepite dunque in una maniera che mai avevo provato. E ciò per me è stato rivoluzionario, anche come metodo per affrontare i problemi in cui sono incappato e che tutti noi quotidianamente viviamo. 

Lorenzo, come si è concretizzata questa Tua passione umanistica?

Ho pubblicato in precedenza una piccola raccolta di poesie nel 2020, dal titolo “Semi che ho sparso nell’agro dal sole riarso”, in regime di self publishing su Amazon. Tale pubblicazione fu eseguita esclusivamente per togliermi uno sfizio personale ed iniziare a calarmi nel mondo della scrittura.

Adesso invece sto vivendo questa nuova avventura con la pubblicazione del libro “Petali di nuvola azzurra”, affiancato da una vera casa editrice.

Come è strutturato questo Tuo ultimo lavoro?

Il testo è intitolato “Petali di nuvola azzurra”, pubblicato da Robin Edizioni, ed è una raccolta di poesie, o presunte tali, che ho scritto negli ultimi due anni. Il linguaggio usato è volutamente semplice; penso che per far trasparire le sensazioni, ci vogliano parole dirette, gentili ma non invadenti o eccessivamente auliche.

Di cosa parlano queste poesie? Beh, sicuramente non sono monotematiche e affrontano molti aspetti legati a sensazioni che incontro durante il mio vivere quotidiano. Penso che ogni poesia rappresenti il nodo della medesima rete, e spostandosi da un nodo all’altro, la tela che si costruisce risulta sempre più chiara: ci si trova immersi in versi di rinnovata speranza, che seppur partano da riflessioni di dolce malinconia, che comunque riconosco far parte di me come “amplificatore” delle mie emozioni, non hanno deriva né triste né cupa.

Credo si avverta il tentativo, con questo libro, di voler cercare di restituire l’importanza ai singoli attimi, a quei momenti di sospensione che ci sollevano dalla quotidianità, non tanto però da afferrare (quindi non il “carpe diem”), quanto piuttosto da saper riconoscere, e lasciar scivolare addosso nutrendoci di ciò che ci lasciano; è un invito a vivere più consapevolmente e nel presente, e a lasciar andare la frenesia che spesso ci assorbe, soprattutto in tempi come questi.

Io penso che arrivino prima o poi delle fasi nella vita di ognuno di disequilibrio, di incessanti domande su sé stessi e sul proprio futuro, su chi siamo e su cosa ci faccia stare bene; il rischio, rimuginando troppo, è quello di impantanarsi e rimanere bloccati. Sicuramente con questo testo non c’è nessuna pretesa di fornire risposte o chissà quali rivelazioni in merito, ma penso che possa comunque aiutare ad assumere alle volte punti di vista differenti, per poter osservare noi stessi da una prospettiva differente e capire qualcosa in più su di noi. In questo modo, forse, saremo in grado di riuscire a non rimanere avvolti nell’immobilismo delle domande incessanti e reiterate, e questa transizione di stato, secondo me, già dà una spinta audace e positiva per poter muovere nuovi passi

Quale considereresti il miglior consiglio che tu abbia mai ricevuto?

Può sembrare banale e ricorrente, ma non lo è, ossia il consiglio di cercare di circondarci di ciò che ci fa stare bene e che ci rasserena.

Questo tipo di invito, infatti, se in un primo momento l’ho valutato erroneamente in maniera superficiale (come “frase fatta”), mi ha invece permesso in seguito davvero di fermarmi e chiedermi: ma io chi sono? Cosa mi fa stare bene? Cosa ho dentro da condividere? Cosa voglio? Cosa mi dà leggerezza?

E quando cominci a domandare e ad indagare certi ambiti, capisci che non è poi così limpido e chiaro il tutto; però senza dubbio si inizia a capire cosa non fa per noi, e penso sia già un ottimo inizio per interpretare noi stessi.

Spesso, infatti, ci smarriamo nel marasma di tutti i giorni, nella routine, nella frenesia, e si perde la visione sulle vere priorità, su ciò che ci appaga e ci rasserena: forse, a mio avviso, ciò equivale un po’anche a perdere noi stessi, di conseguenza.

Cosa significa il titolo del tuo libro?

Il nome della raccolta “Petali di nuvola azzurra” accosta due particolari sensazioni che, durante il mio vivere quotidiano, mi sono trovato spesso ad approfondire. La prima, è quella legata al rapporto che ho con i miei sogni, le mie aspettative e aspirazioni: stanno lì, sono così ammalianti, lucenti, ma allo stesso tempo fragili, esattamente come i petali di un fiore. E proprio mentre decido di fare un passo verso di loro, per cercare di sfiorarli ed afferrarli e farne qualcosa di più, mi scontro con la seconda sensazione, quella di sentirli evaporare via tra le dita; esattamente ciò che avviene nel provare ad afferrare una nuvola. Una nuvola azzurra nello specifico, perché l’azzurro è per me il colore che ha la malinconia che tutto questo mi lascia. Ma assolutamente non una malinconia negativa, bensì dolce, che è per me catalizzatrice delle mie emozioni.

Attualmente stai lavorando a qualche libro?

Attualmente non sto lavorando in pianta stabile ad un nuovo libro.

Ho molte attività legate di riflesso a questo che ho pubblicato da poco e, con mia grande sorpresa, ho scoperto che il libro stesso non è più al centro di questa avventura, ma è diventato un piacevole contorno: ciò che è centrale, ed il vero valore aggiunto di questo percorso, per molti versi distante dalle attività della mia quotidianità, è tutto quanto è derivato dopo la pubblicazione: l’incredibile affetto ricevuto, le nuove persone conosciute, così sensibili e attente, le diverse e particolari esperienze che mi sono ritrovato a vivere, e la possibilità di scoprire altri lati di me stesso.

In tutto questo, sto comunque continuando a scrivere poesie, perché fa parte di me e della mia indole, ma non per forza con l’obiettivo di trasformarle in un libro. Chissà, comunque, che anche queste non possano confluire in maniera naturale una nuova raccolta futura.

Qual è il tuo stile di scrittura preferito?

Ciò che scrivo non è troppo ragionato, e fluisce naturalmente in versi di solito brevi e molto concreti. Non mi avventuro in astrazioni eccessivamente ardite, né in linguaggio particolarmente aulico. Penso che per lasciar trasparire le mie emozioni, io abbia bisogno di usare parole dirette, semplici, non invadenti, frugali e prive di orpelli. Sono le parole che mi trovano, spesso.

Mi piace inoltre molto ricorrere all’uso della rima, soprattutto alternata. Ma, come specificavo, non è una scelta stilistica ragionata per chissà quale fine, è solo il modo con cui le parole mi raggiungono, sono scelte, e sono trascritte.

Preferisci digitare su un computer o scrivere con una penna? Perché?

Spesso scrivo il germoglio di un’idea appena mi balena, e lo faccio con gli strumenti che ho a disposizione in quel momento. Può essere che mi annoti sul mio taccuino, che generalmente porto con me, qualche parola, qualche verso, così come può essere che ricorra invece alle note sul cellulare: dipende dalla situazione in cui mi trovo.

Scrivere con una penna su carta ha indubbiamente il suo fascino, ma quando accade è per abbozzare il tutto. La finalizzazione avviene poi generalmente dietro una tastiera, anche se a quel punto si tratta di limare qualche aspetto. Preferisco quindi ricorrere in quest’ultimo aspetto alla tecnologia, perché mi permette maggiore praticità e flessibilità nel gestire i refusi, nel fare ipotesi di verso con parole diverse. Non credo che per questo si perda la magia della scrittura: secondo me il coesistere di tracce scritte a mano e digitali ha il suo perché.

Preferisci scrivere quando sei da solo o in pubblico? Perché?

Sicuramente preferisco scrivere quando sono da solo, perché è più probabile che le mie emozioni fluiscano in maniera più nitida ed intensa, e in più ho bisogno di tranquillità. Lo scrivere poi in un contesto naturalistico, come può essere stare semplicemente seduti sul terrazzo con vista su elementi naturali, mi piace molto e mi astrae dalla quotidianità. Sono una persona inoltre (purtroppo) che fa fatica a lasciar trasparire le proprie emozioni di fronte agli altri, ma questo percorso di scrittura mi sta aiutando molto, tra le altre cose, anche in questo aspetto.

Scrivi in base agli obiettivi o ogni volta che sei ispirato?

Come parzialmente anticipato, scrivo esclusivamente quando sento che ho dentro qualcosa che devo dire. Il capire come dirla, invece, fa poi parte del vero e proprio processo di scrittura che accade in me in maniera naturale. Non succede mai che mi sieda davanti ad un foglio bianco sforzandomi di trovare qualcosa da buttare giù; prendo il foglio quando dentro si è innescata spontaneamente la scintilla. Penso che questo sia abbastanza comune, soprattutto per chi scrive poesie. Non ritengo, se si vuol tentare di trasmettere una emozione, che sia possibile scrivere qualcosa a comando dopo chissà quale sforzo mentale, di ragionamento, o in maniera forzata. Il bello della scrittura e della lettura, secondo me, è che si avverte subito l’unicità, e quanto siano cariche di significato le parole che si stanno leggendo; ci si rende subito conto quindi di quanto alcune righe siano sincere e spontanee, o meno.

Cosa richiede la maggior parte del tuo sforzo quando scrivi?

Sicuramente, se da un lato la scintilla su cosa scrivere scocca in maniera naturale e senza forzature, la parte più “difficile” della mia attività di scrittura sta nella scelta delle parole. Come ho detto in precedenza, spesso sono le parole a trovarmi, è vero, ma a questo punto, tra una serie di vocaboli che si presentano, seppur simili di concetto, devono essere scelti. Per me è fondamentale questo processo, e penso sia ciò che sta alla base della scrittura. Ogni singola parola ha un significato ben preciso, ha un suo ritmo, un suo suono, ha una sua vibrazione, un suo collegamento con la parola adiacente, e con quelle che precedono/seguono. È indispensabile inoltre, in questa attività, anche la rilettura continua, soprattutto ad alta voce, per capire meglio la sonorità.

Quindi, il risultato finale (se ho fatto discretamente tutta l’attività), sarà quello di un concetto espresso esattamente con solo e soltanto le parole necessarie a farlo, e con quel ritmo e suono che ho voluto impostare per enfatizzarlo: alla fine i vocaboli oscilleranno tra loro in un’armonia (si spera) di risonanze e dissonanze. Sì, anche le dissonanze sono importanti, per me.

Cosa vorresti che i tuoi lettori sapessero?

Ciò che tengo a far capire e a rendere noto a chi avrà la curiosità di leggermi, è che veramente io scrivo perché ne ho bisogno, non è un cliché.

Lo scrivere per me fa parte di un percorso che ho iniziato non troppo tempo addietro, di riscoperta di me stesso e di presa di consapevolezza, e che probabilmente non si concluderà mai. Sono in continua evoluzione. Ed è nella poesia che questo mio percorso trova la sua massima espressione, perché mi mette in contatto diretto con sensazioni così forti che mi spingono a capire cosa davvero ho dentro e chi io sia alla radice. Qui intendo la poesia in senso più generale, e non solo quella lirica delle parole: la poesia penso si possa cogliere con ogni senso, in una forma di pane che lievita, in una foglia che rotea nel vento, in un fiore nel parco, in un ciuffo d’erba trai mattoni, in un gatto che si liscia il pelo.

Vivo quindi la poesia come piccoli momenti di intense emozioni, che assorbo, lascio che si muovano in me, e poi cerco di lasciarle andare, come se fosse un’esplosione. E questo processo di assorbire e di lasciare andare in continuo ricorda un po’ l’atto di inspirare/espirare della respirazione. Dunque, se la poesia per me è come un respiro, si capisce bene allora come io non possa che averne costante necessità.

Qual è il tuo piano? Dove ti vedi nei prossimi cinque anni?

In ambito di scrittura, essendo questa una attività propria della mia essenza, non ho un piano predefinito; infatti, nella mia quotidianità mi occupo di tutt’altro, essendo un ingegnere regolarmente impiegato in un ambito a me gradito. C’è da dire comunque che questa mia predisposizione per la scrittura mi sta portando verso nuove dinamiche che prima non conoscevo, e che sono molto interessanti. Ho capito che quello che scrivo riesce talvolta ad emozionare chi legge e a far riflettere, è questo è il miglior riscontro che potessi avere.

Posto ciò, quindi, sicuramente il mio obiettivo è quello di continuare a esprimere ciò che ho dentro tramite la scrittura, in quanto questo è prezioso per me. Spero che questo possa essere utile anche per chi mi legge, e che possa dare una spinta nel capirsi e comprendersi di più.

Dove mi vedo tra cinque anni? Spero più consapevole, con un libro in mano, sereno, appagato, e circondato da tanto affetto delle persone che hanno avuto la spinta a voler sapere cosa avessi da dire.

Grazie per essere stato con Noi oggi!!

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6 risposte

  1. Ho avuto il piacere di poter leggere il libro di Lorenzo. Le poesie sono particolari e ci sono riflessioni non banali. Si nota una certa concretezza nelle affermazioni fatte, probabilmente sinonimo di una presa di consapevolezza.
    Ho provato delle emozioni, e sono riuscita ad immedesimarmi, forse per affinità su alcune tematiche.
    Il ritmo e lo stile usato devo dire che sono molto riconoscibili.
    Si avverte la sensibilità di Lorenzo in ogni frase di questa intervista.

    1. Ciao Eli!

      Sono molto contento che hai avuto interesse nel voler leggere il libro. Che tu vi riconosca concretezza e il tentativo di presa di consapevolezza è per me motivo di soddisfazione. A maggior ragione ,se aggiungi di aver provato emozioni.

      Grazie per questo riscontro, davvero!

  2. Sia da queste parole che dal libro si avverte che c’è stato un cambiamento. Un cambiamento necessario. La sensibilità usata nello scrivere dà tutte le sfumature di questo processo.
    Ci sono riflessioni che secondo me possono aiutare e toccare nel profondo.
    Bravo!

    1. Francesco, grazie per aver letto il libro ed esser venuto qua a scrivere queste righe. E’ vero, il libro parla anche di un percorso di cambiamento, e come giustamente dici tu, necessario.

      Ti ringrazio ancora tanto!

  3. Mi sono imbattuto in questo libro per caso, incuriosito dal titolo e dalla breve introduzione. Devo dire che è stata una piacevole scoperta. Lorenzo sa utilizzare a mio avviso un ritmo e delle parole che ben si conciliano con le sensazioni che vuole esprimere. Si sente che scrive ciò che ha dentro, senza costruzioni.

    1. Bentrovato Nicola!

      Non posso che ringraziarti per queste parole. Collimare le parole con le sensazioni spesso non è facile, si rischia di non essere in grado di esprimerle a dovere, o di essere troppo artificiosi.
      Ti sono grato per aver portato i tuoi pensieri in merito. Sono contento!

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