Quando un matrimonio s’ha da fare…
La proposta di riflessione che segue è ispirata al celeberrimo passo de “I promessi sposi”, che recita:
“Or bene, – gli disse il bravo, all’orecchio, ma in tono solenne di comando, – questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai”.
Notiamo, innanzitutto, che questa frase è pronunciata da un “bravo”, ovvero lo scagnozzo di don Rodrigo (un malavitoso dell’epoca dei fatti raccontati nel romanzo manzoniano), mandato da questi, insieme a un altro suo uomo, per costituire una pattuglia di terrore nei confronti di don Abbondio (prete in cura d’anime, incaricato di assistere alle nozze di Lorenzo Tramaglino e Lucia Mondella, ovvero i promessi sposi Renzo e Lucia).
È chiaro, allora, che questi individui poco raccomandabili sono tutto il contrario di quelle che usiamo definire come “brave persone”. Gli uomini, infatti, rivelano la loro identità attraverso le loro parole e le loro azioni; qui, sia le une che le altre narrano di ambasciatori senza coscienza che agiscono, portando pena ai malcapitati, per conto di un mandante privo di scrupoli.
Il sussurro solenne della minaccia dice la “bravura” degli inviati nell’esercizio delle loro illecite funzioni, ed è quasi il riverbero della vile ingiunzione di un uomo “potente”, che riesce a incutere paura a chi, per vocazione, dovrebbe ergersi a baluardo dell’istituto matrimoniale, a favore di quelli che, in virtù del loro amore, sono chiamati a celebrarlo.
Tutta la trama del romanzo, dunque, si dipana intorno alle conseguenze della codardia di don Abbondio, il quale abbonda sì, ma di quelle paure, che riescono a mandare per aria la celebrazione sacramentale dell’amore di Renzo e Lucia.
Rodrigo ha ottenuto la sua “vittoria”: Lucia non sarà mai d’altri che sua. Sembra proprio che il male riesca sempre a prevaricare e, alla fine, a trionfare. Pare che quel proverbio napoletano che dice “Quann dduje se vonn, cient nun ce ponn” (Quando due persone si desiderano, non ne bastano cento per fermarle), qui, si dimostri in tutta la sua falsità. Tuttavia, è solo apparenza, perché è testimonianza comune di qualsiasi coppia di fidanzati che è proprio la capacità di superare insieme la prova a dire la verità del reciproco amore, a divenire il segno del tempo di quando un matrimonio s’ha da fare (per ulteriori riflessioni a questo proposito, rimando al mio romanzo “Ricorda, Vivi, Ama”).
“Poveri uomini” siete, dunque, voi: Rodrigo, Bravi, Abbondio, Renzo e Lucia. Tu, Rodrigo, perché, desiderando la donna d’altri, ti dichiari insoddisfatto di tutto quello che hai accumulato in modo fraudolento; sei più che povero, perché non bastandoti le cose che hai rubato dalle persone, credi di poter possedere con la forza l’amore di una donna che non t’appartiene. Voi, Bravi, perché v’immagino scapoli e privi dell’esperienza di un amore particolare del quale aver cura; perché, qual cuore, che sia davvero innamorato, accetterebbe di essere candidato per una così squallida missione? Tu, Abbondio, perché, in fondo, non credi, come pur vai predicando, alla genuinità dell’amore di questi giovani e alla bontà stessa del Matrimonio. E voi, Renzo e Lucia, soggiogati dalle conseguenze di scelte che altri hanno preso per voi, ma che non v’impediscono di essere, insieme, un unico amore narrante!