“I promessi sposi”, di Alessandro Manzoni – Capitolo XIV

Imparare dagli errori…

L’onestà intellettuale, virtù quanto mai necessaria oggi, viene splendidamente definita da Alessandro Manzoni, attraverso due articolazioni letterarie: la prima, che, conducendo l’autore a dichiarare il suo amore per la verità, gli infonde quel coraggio che non gli permette di idealizzare, con eventuali fuorvianti edulcorazioni, quello che si caratterizza quasi come il personaggio principale della storia che va narrando; la seconda, che, sfiorando un moto di giustificazione, riesce, invece, a mantenere l’equilibrio tra la necessaria imparzialità di giudizio e la narrazione cruda e nuda dei fatti. Entrambe le riflessioni, poi, confluiscono nella riproposizione di un concetto che il Manzoni “copia e incolla” dall’anonimo che aveva prodotto e, per così dire, fornitogli il manoscritto originario.
Il concetto è il seguente:
“Le abitudini temperate e oneste, dice [l’anonimo], recano anche questo vantaggio, che, quanto più sono inveterate e radicate in un uomo, tanto più facilmente, appena appena se n’allontani, se ne risente subito; dimodoché se ne ricorda poi per un pezzo; e anche uno sproposito gli serve di scola”.
Lo “sproposito” di Renzo era stato quello di alzare troppo il gomito e questo permette di aprire anche una parentesi su come sia facile per l’essere umano ripiegare su sfoghi malsani, per la salute propria e altrui, quando si trova immerso in circostanze che gli creano una “alterazione d’animo”; il risultato è che l’appagamento del bisogno naturale può sfociare in una reiterazione sproporzionata, per quantità e qualità, che, nell’illusione di colmare il vuoto provato, crea un circolo vizioso che, invece, “amplia gli spazi” della sensazione stessa di vuoto.
L’essere andato anche di poco oltre la sua “soglia di sobrietà”, si è trasformata per Renzo nell’esperienza di trovarsi – come descritto da qualcuno con un immagine efficace – su un piano inclinato, lungo il quale è scivolato senza accorgersene. Tuttavia, il possedere, da parte di Renzo, un’indole morigerata gli permetterà, una volta smaltita la sbronza, di ritenere la memoria di quell’errore, portandolo a riflettere su come la vita e la risoluzione dei problemi che la riguardano, stiano da un’altra parte.
Caro Renzo, chi di noi non commette errori? Chi potrebbe condannarti? Nessuno! Che la tua esperienza “errante”, dunque, possa servire alla comprensione di ciascuno che non è l’errore in sé maestro di vita, ma l’apprendere dai propri errori che la vita dà sempre, anche quando non vi si fa caso, un’occasione di riscatto, una nuova possibilità, un’alternativa narrante.

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