Israele e Palestina: Odi et Amo

Nessuna ricerca internet, nessun libro consultato, nessuna partigianeria per i soggetti in campo.
Ho letto e continuerò a leggere tanto sulla questione israelo – palestinese, ma scrivo questo pezzo sotto dettatura di ricordi più che nitidi su quanto ascoltai e su quanto vidi con i miei occhi, circa un quarto di secolo fa (era il lontano luglio del 2000), perché volontario in un campo di lavoro internazionale svolto tra Israele, la Striscia di Gaza e la Cis Giordania.
HINC ET NUNC
La Cisgiordania? Ebbene sì, perché già nel nome di quest’area bellissima e dannata si delineano i suoi diabolici grovigli incrostati di morte e dolore, in una Storia che, ignorando o decidendo di ignorare, non sembra porsi il problema di dipanare e risolvere.  Definiamola infatti Palestina o Territori occupati, se vogliamo indossare una kefiah e abbracciare quella Causa palestinese che per primo partorì e difese Arafat. Chiamiamola West Bank, se, viceversa, ci riconosciamo sotto l’egida della Stella di David e della Knesset. Scegliamo di utilizzare Cisgiordania, se, cambiando ancora una volta posizione, ricerchiamo quella terza via sovranazionale, oggi del tutto dimenticata, per proporre un serio dialogo multilaterale e costruire un percorso di negoziazioni e pacificazione.
PASSATO
– Nablus: L’Olocausto ridotto a menzogna, occidentale e sionista. I missili scud di Saddam Hussein e la gioia di vederli volare sopra le proprie teste, pronti a schiantarsi su Tel Aviv. Così raccontavano al nostro gruppo inorridito, con estrema enfasi e precludendoci ogni possibilità di dibattito, docenti palestinesi dell’Università di Nablus, l’ateneo palestinese di massimo riferimento per l’area.
– Betlemme: la città in festa, tra spari e fuochi d’artificio, per il fallimento del Vertice di Camp David (2000) tra Yasser Arafat ed Ehud Barak. Erano euforici i palestinesi, perché ‘Arafat non aveva venduto la loro terra al loro eterno Nemico’ (così ci raccontò il capo del capo della ong locale con la quale collaboravamo). Erano preoccupati eppure soddisfatti alcuni soldati israeliani, perché ‘così Israele preservava la sua unità e non abbandonava i suoi coloni’ (così mi disse un militare a guardia del nostro accampamento provvisorio).
– Confine Israele – Striscia di Gaza: l’ennesimo posto di blocco, l’ennesima tormentosa fila di civili e macchine derelitte, nell’attesa di validare quintali di documenti e, quel giorno in particolare, di recuperare qualche grammo di riso dalle nostre camionette della Luna Rossa Internazionale. Speranza subito frustrata e trasformata in odio viscerale. Alcuni soldati israeliani presenti alla dogana, infastiditi dalla torma di questuanti cibo, decisero di distruggere tutto il cibo trasportato. Le mamme raccolsero ogni chicco caduto in terra, i vecchi innalzarono disperati braccia al cielo, gli uomini rivolsero occhi iniettati di odio verso i militi, per poi riversare quello stesso fiele mortale nei cuori dei loro figli, allora attonite e innocenti creature, in futuro probabili futuri kamikaze.
PRESENTE/PASSATO
Siparietti tragici, impossibili da dimenticare, capaci di squarciare un velo sulle immani sofferenze di quella terra senza tregua e di denunciare le troppe colpe accumulate, anno dopo anno anno, da una parte e dall’altra della barricata. Il Tutto iniziò con la Dichiarazione Balfour (1917), il documento che attestò la futura costituzione di uno stato di ebrei e per gli ebrei? Il tutto tracimò, una volta costituito Israele (1948), con il primo conflitto anti israeliano e, una volta sconfitta la coalizione araba, con l’accantonamento del progetto di spartizione territoriale? Ogni risposta è ad oggi impossibile, perché troppo condizionata da opposti antagonismi. La certezza è una striscia ininterrotta di sangue, irrorata da guerre, attentati, due intifadah, falliti accordi di pace, l’innalzamento di un muro inutile e vergognoso, tregue armate e violate fino alla pioggia di missili di ieri, l’inaudito rapimento di decine di civili e l’ennesimo status di guerra proclamato dalle parti. È di nuovo un gioco al massacro. Senza vincitori né vinti. Le cancellerie occidentali si schierano con Tel Aviv, temporeggiano Mosca e Pechino, si surriscalda Teheran e una parte del mondo musulmano nel perorare la causa palestinese. Babele diplomatica infernale: dispacci, notizie, appelli mentre la gente soffre, muore e due popoli riprendono a odiarsi con più veemenza di prima. Non si vede alcuna luce tra ombre così dense e spesse, eppure.
INTERMEZZO
Io, se in lui mi ricordo, ben mi pare..
(Dal Canzoniere di U. Saba)
PASSATO/FUTURO
– Ostello di Tel Aviv: accanto al mio letto si preparavano per dormire tre soldatesse israeliane. Ero arrivato solo poche ore prima, ero curioso e non ancora sconvolto, decisi così di farmi avanti e porre loro alcune domande scomode sulla realtà del Medio Oriente. Prima sviarono in parte il discorso, quindi mi raccontarono preoccupate della loro prossima missione tra le Alture del Golan (territorio israeliano dal 1981 recriminato dalla Siria), infine mi confidarono del loro credere in un futuro di pace. Due popoli, due stati. Riconoscendo in parte le proprie colpe, puntando comunque sul dialogo, per un avvenire da costruire INSIEME.
– Tulkarem: lo sforzo di piantare alberi sotto un sole infuocato fu ricompensato da buonissime vivande offerte dalla comunità locale. Approfittai del pranzo per ricaricarmi, interagire con alcuni abitanti, catturare l’attenzione di alcune giovani ragazze.
Prima dei saluti mi ringraziarono, riconobbero il nostro sforzo a favore di tutti (palestinesi e non!), mi confidarono di voler sempre continuare a credere in un comune futuro di PACE.

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4 risposte

    1. Buongiorno Diego, i Paesi arabi potrebbero intervenire, ma ci chiediamo quale potrebbe essere l’equilibrio geopolitico che si creerebbe.

  1. Bell’articolo, interessante. Credo che ormai le idee non sono più alla base di questo scontro. Credo che ormai sia solo un antico pretesto per spostare ogni volta equilibri economici molto più grandi e lontani.

    1. Cara Giovanna, ci sentiamo di condividere questo Tuo pensiero. L’attuale presidenza statunitense ha un ruolo fondamentale negli equilibri mondiali di questi ultimi due anni e, purtroppo, non sempre ha preso decisioni opportune

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