L’eterna guerra israelo-palestinese, la madre di tutte le guerre moderne

KAMIKAZE E TAPPETO VOLANTE
Primi anni duemila
Ho voglia di fare un giretto. Prendo il mio tappeto volante parcheggiato fuori la finestra, sospeso nell’aria. Inizio a sorvolare porzioni di territorio. Il tappeto volante l’ho comprato di seconda mano da un venditore iraniano e va che è una meraviglia. Quando non ho voglia di prendere lo scooter o l’automobile me ne servo volentieri perché volando in alto si ha una visione d’insieme e si raggiungono notevoli distanze.
Il mio tappeto volante si alimenta con l’aria quindi, non consumo nulla, autonomia illimitata e non incontro traffico. Quando fa troppo freddo non posso stare per molto tempo in volo perché non è riparato dalla carenatura. È l’unica controindicazione e l’unico limite di un mezzo di trasporto eccezionale.
Volo libero, capelli al vento, seduto a poppa o prua mi godo il panorama circostante e sottostante. Volteggio e piroetto, plano e viro. Atterro e decollo, anche se atterrare non significa toccare terra, il tappeto rimane sospeso, quindi ‘atterrare’ sta per fermare.
Aderisco al tessuto pregiato nella classica posizione del ‘fior di loto’. Il mio animo è incline all’esplorazione ma non so cosa troverò in questo mio peregrinare. Sono pronto a tutto, pronto a qualsiasi evenienza, se così non fosse non avrei lasciato parcheggiato il tappeto volante fuori dalla mia finestra. Volo alto, libero, almeno penso di essere libero, immagino di essere libero. Temo che incontrerò gente meno libera nel mio errare.
La mancanza di Libertà
Ho questo strano presentimento, ho la percezione di mancanza di libertà, ho anche paura di incontrare da vicino questa mancanza, ma vado oltre la paura, varco la soglia. Pensavo di muovermi verso una direzione o verso una direzione qualsiasi ma, visto che il mio tappeto è volante ma senza ‘volante’ (lo so è difficile capire questo concetto), la direzione la decide lui, un vero esempio di integrazione tra il conducente e la macchina, o meglio, visto che si tratta di un tappeto, tra il conducente e il mezzo atto a trasportare. Questo mezzo, il tappeto, è una sorta di navigatore satellitare e quindi, pensante, ma non so dove siano collegate le sue sinapsi, sicuramente tra le sue trame di lana di cui è annodato. Constato che ci stiamo dirigendo verso il posto di cui è originario il mezzo di locomozione. Ci stiamo dirigendo verso oriente, me ne accorgo dalla ‘rotta’, spero di aggiustare questa ‘rotta’ (sottile battuta). Rivolgo dapprima il mio sguardo in alto, verso il cielo e le nuvole, tentando di scrutare l’infinito.
Subito dopo lo dirigo verso il basso, cioè verso il finito, ovvero la nostra palla rotonda terrena. Abbasso lo sguardo o viva lo sguardo? Abbasso lo sguardo e osservo il mio mediterraneo così piccolo e indifeso rispetto a suo padre l’oceano, ma molto più rassicurante. Il mio mediterraneo! Ecco una delle mie dimensioni di appartenenza, mi sento mediterraneo ed è bello sentirsi mediterranei e amo le terre che si affacciano su questo mare. Abbiamo abbassato la quota ma non è una scommessa, siamo a bassa quota, ci siamo abbassati. Volo radente la costa a una altezza che mi permette di scorgere gli umani indaffarati nelle loro beghe quotidiane. La cosa inquietante è che, a volte, le beghe quotidiane non sono così rassicuranti, nel versante mediorientale sono un po’ diverse dalle nostre.
La Terra Santa
In prossimità della Terra Santa, Israele e Palestina, mi sporgo dal tappeto e vedo strani giochi dei bambini da quelle parti, delle mamme di quelle parti e dei giovani di quelle parti.
Indossano strani giocattoli, a prima vista sembrerebbero giubbetti salvagente ma ad una analisi più accurata risultano essere giubbetti pieni di esplosivo.
Strane persone che indossano indumenti rigonfi. Boom! Boom! Boom! Si odono nell’aria scoppi improvvisi, nuvole di fumo bianco e denso. Questo continuo scoppiare è proprio uno strano gioco ma subito dopo mi accorgo che non è un gioco, anzi si è un gioco, il gioco al massacro. A questo punto intuisco che il giro è molto meno rassicurante del previsto e il mio mediterraneo assume tinte fosche. Odo urla strazianti, lamenti di persone ferite, che strano epilogo per un gioco. Le loro carni, anzi i loro brandelli di carne si alzano in cielo brandelli di carne di chi si è fatto esplodere insieme a brandelli di carne di chi è esploso nelle vicinanze di chi si è fatto esplodere.
Queste persone così lontane per convinzioni religiose e politiche nella loro vita quotidiana si ritrovano insieme nel momento Supremo, nell’ultimo saluto dal mondo terreno. Questi poveri resti dilaniati abbracciati, confusi, inermi, riappacificati nel momento ultimo della loro parabola esistenziale. Riappacificati (che parolone).
Ammesso che esista una vita ultraterrena, ma per la maggioranza degli israeliani e dei palestinesi esiste, la domanda è la seguente: questo smembramento, questo dilaniamento, questo strazio produrrà nella vita ultraterrena riavvicinamento? Chissà! Vedendo questi corpi esplosi mi viene da domandarmi dove sarà localizzata la loro anima, quale pezzo di carne la seguirà. Chissà se questi corpi confusi nella morte, nel terribile destino comune, mantengono un’anima, magari frammentata come le loro membra, oppure l’anima rimane integra e solo il corpo si spappola? Sarebbe bello che, a differenza dei loro corpi in vita, le anime che salgono in cielo, nell’eventualità remota che qualcosa rimanga, avranno la pazienza e la capacità di dialogare, di trovare qualcosa che li renda comunità pacifica, di trovare un ragionevole compromesso.
Le Anime innocenti
Sarebbe piacevole pensare che le anime dei bambini e delle mamme che hanno sacrificato la propria vita e quella degli altri vadano a ritrovarsi in un parco gioco immaginario e mischino tra di loro i bambini sulle altalene e sugli scivoli.
Qualcuno potrebbe obbiettare che sarebbe troppo tardi per tentativi di riconciliazione ma sto riflettendo su una tragedia già compiuta e l’orizzonte è quello che rimane dopo la morte, se ne rimane qualcosa.
Sono due popoli religiosissimi che comunque si pongono la questione ultraterrena.
Forse rimarranno separati anche dopo, forse un muro li dividerà anche dopo e i loro figli giocheranno in parchi gioco diversi. Se penso a questa evenienza potrei entrare nelle sabbie mobili del mio pensiero e potrei non uscirne, allora penso con tutta la mia volontà, anche a ‘dispetto dei santi’ (chissà perché bisogna fare dispetto ai santi) che quei bambini potranno giocare negli stessi parchi del paradiso o in qualsiasi luogo geolocalizzato in cielo.
Il paradosso che quella terra prende il nome di terra ‘Terra Santa’ e se fosse stata una terra ‘maledetta’ cosa sarebbe potuto succedere di più grave, una vera e propria contraddizione in termini. Dove si concentrano le religioni del mondo c’è un alto grado di conflittualità e così, scoraggiato dall’evidenza dei fatti, faccio a meno di professare una religione, non entro in collisioni con altre religioni e cerco di schivare gli strali dei fanatici e dei fondamentalisti di ogni religione.
Certo che sacrificare la propria vita per colpire i nemici dovrebbe far riflettere quelle persone obbiettivo di un odio così profondo.
Come si fa a convivere con persone che odiano così tanto al punto di sacrificare la propria vita per uccidere. Come si fa a vivere a contatto con persone che vogliono morire per far morire altre persone.
La Via di uscita
C’è solo una via di uscita per ovviare a tutto questo, la solita, convenzionale, banale e ovvia Pace. Che parolona, ‘Pace’, con che presunzione si può parlare quando si odono ancora gli echi degli spari, degli scoppi, la puzza dei cadaveri abbracciati nell’epilogo finale.
C’è solo quella via di uscita e null’altro, c’è solo una Pace onorevole per evitare ulteriore sfascio dei corpi, la prematura decomposizione, le morti dei figli in braccio ai padri, vicino ai padri, uccisi con i padri. La pace per evitare lo scempio oppure il genocidio o ancora un terrore generalizzato e diffuso e gli scoppi aumenteranno in proporzione della frustrazione e della disperazione.
La macabra danza dei corpi spappolati riprenderà a ritmi vertiginosi e ‘kamikaze’ diventerà una scelta di vita, anzi di morte, aumenterà la conta dei morti e l’escalation sempre più aspra e feroce e nessuno potrà dirsi al sicuro, anche al di fuori dei territori in lotta.
O pace o caos generalizzato, dubito ci siano alternative.
I gendarmi del mondo pronti sempre a colpire i santuari del terrorismo in un groviglio di terrorismo reciproco dove non si sa chi è più terrorista di chi. I kamikaze però non erano previsti, le persone-bomba non le avevano messe in conto e la lotta si fa ancora più complicata. Ora che il mio tappeto volante mi ha portato in questi luoghi tribolati e ho incontrato quello che temevo, ovvero sangue e distruzione, non posso che augurarmi che almeno tutti i morti implicati in queste tristi vicende di guerra riescano a trovare ‘una Road Map’ o una ‘Camp David’ nell’alto dei cieli del Dio misericordioso (ammesso che esista) e che, una volta giunti a destinazione, li rimproveri benevolmente dicendo loro: ”Ma come, io ero un solo Dio e voi vi siete ostinati a farvi la guerra pensando che io fossi un Dio diverso a seconda delle convenienze?”
Il Dialogo Divino
“Ma suvvia poveri popoli in lotta, avete sprecato il vostro tempo a interpretarmi? D’altronde se vi siete persi in queste diatribe forse non se ne poteva fare a meno e io sono ‘onnipotente’ fino ad un certo punto. Ora però, al mio cospetto, abbandonate le vostre rigidità mentali e materiali e vivete in pace, almeno nell’eternità dell’aldilà”.
Se l’ipotesi auspicata non fosse questa, almeno considerando lo scetticismo della potenza divina, mi piace pensare che le anime dei poveri morti si reincarnino in quelli di uomini o animali inclini al compromesso, alla tolleranza e alla fratellanza. Inclini alla divisione di terre e al buon vicinato, dove i conflitti siano solo quelli delle riunioni di condominio, unica forma di conflitto accettata. E’ triste dover augurarsi una migliore situazione post-mortem ma la vita ante-mortem, almeno in questa parte del luogo, non è destinata a miglioramenti.
Il Tappeto Volante
Dopo questa sconsolata analisi, mesto e malinconico, faccio un fischio al mio tappeto volante senza volante e, come il cavallo di Zorro, mi appare da dietro i cespugli, pardon da dietro le nuvole.
Questo tappeto apparentemente inanimato mi sembra che abbia ‘unnonsochè’ di animale-umano, è come se mi guardasse (anche se non saprei dove potrebbero essere collocati gli occhi) e condividesse con me questa triste riflessione sulla vita e sul mondo.
Sfioro i delicati ricami ornamentali e i fili annodati all’estremità e, con un lieve cenno del capo, impartisco l’ordine di partire e con uno scatto repentino invertiamo la rotta che non siamo stati capaci di aggiustare. Abbandoniamo queste terre tribolate e contese, prendiamo quota, alzo lo sguardo al cielo e cerco di scorgere la presenza divina da qualche dettaglio. Scruto accuratamente l’orizzonte e non deduco presenza divina apparentemente. Rimane comunque il mistero dell’esistenza e soprattutto il senso di questa esistenza, senso, che dopo questa escursione faccio fatica ad individuare. Raminghi e incerti, io e il mio tappeto volante senza volante, torniamo verso casa sorvolando in senso inverso i cieli mediterranei.
In lontananza vediamo dei fuochi in lontananza al centro della città eterna. Ci avviciniamo lentamente e un po’ impauriti, visti i tristi precedenti. Udiamo degli spari e scorgiamo scontri tra civili e polizia.
Ci avviciniamo di più, riconosciamo delle sagome, ora riconosco le sagome, sono tifosi di calcio e se le stanno dando di ‘Santa ragione’ e certo che questo termine ‘Santa’ è sempre in qualche modo a connesso a dei conflitti, in mancanza di guerre vere ci si diverte alla guerriglia. Io e il mio tappeto volante senza volante ci tranquillizziamo e ce ne andiamo a nanna. Parcheggio il mio fido tappeto volante fuori all’aria aperta e prima che chiuda la finestra si scuote come se volesse darmi la buonanotte e io educatamente risponde al suo gesto di saluto ipotetico con un ‘Buonanotte tappeto, domani è un altro giorno e si vedrà’
P.S. 2023
Sono passati più di venti anni, gli attacchi kamikaze sono diminuiti ma la guerra in tutto il suo fragore continua incessantemente e nessuno si prende la briga di fermarla, non si può e non si vuole, uniti in un abbraccio mortale.
I palestinesi?
Vittime sacrificali sull’altare dell’equilibrio delle super potenze al pari degli ucraini e dei curdi e di tutti quei popoli stritolati nel meccanismo infernale del gioco del potere mondiale.
Così va il mondo.

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2 risposte

  1. Bel pensiero sull’importanza della pace come soluzione per evitare tragedie, sottolineando il desiderio di riconciliazione e tolleranza tra le diverse comunità coinvolte. Un testo che getta luce su una situazione complessa e dolorosa, invitando a considerare la necessità di trovare una via d’uscita pacifica da conflitti così devastanti.

    1. Caro Sebastian questo pezzo lo scrissi nei primi anni duemila e all’epoca non avevo ancora maturato l’idea di un’umanita’ fallita. Ora la mia visione apocalittica dell’umanità ha preso il sopravvento e se i popoli, o meglio i governi che dirigono le sorti del mondo, non riescono a trovare una soluzione congrua a questa crisi, temo il peggio. La situazione attuale dell’umanità è basata sulla detenzione, e sulla conseguente deterrenza, dell’arsenale delle armi nucleari, che potrebbe distruggere innumerevoli volte la terra. Detto questo, la guerra in corso, come quella in Ucraina, possono innescare un processo di escalation dagli effetti incalcolabili. La necessità di pace, quindi, non è solo un atto di inutile ‘buonismo’ ma la condizione necessaria della sopravvivenza del pianeta. Se non siamo capaci di risolvere i problemi della modernità andremo incontro alla terza guerra mondiale, di cui ci sono già avvisaglie, e sarà l’ultima.

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