Vita da Ray – Cultura della memoria

Ogni anno celebriamo il giorno della memoria, per non dimenticare l’aberrazione della catastrofe che il pensiero umano è riuscito a generare durante il secondo conflitto mondiale.

Ogni anno celebriamo ogni tipo di ricorrenza, triste, drammatica, felice, gioiosa; qualunque tipo di evento che riusciamo o dobbiamo ricordare.

Siamo fatti di ricordi, che a volte tralasciamo.

Troppo spesso dimentichiamo quello che gli Armeni hanno sofferto per mano turca o le sofferenze che i troppi regimi e imperi coloniali hanno generato nel Mondo.

Oggi ci siamo dimenticati che l’attuale presente è una ricorrenza storica che già abbiamo amaramente vissuto.

I recenti fatti di cronaca, della nostra vita attuale, narrano di una guerra in Europa che l’Europa stessa è incapace di affrontare, a causa della palese evanescenza della sua anima strutturale.

Un’Europa incapace di seguire oscillazione delle zolle tettoniche della geopolitica internazionale, che ha ben pensato di innalzare gli scudi del protezionismo nazionale per far arrivare al proprio elettorato interno un messaggio di tutela degli interessi locali.

Ecco perché dimentichiamo.

Non ci stiamo accorgendo che questo nostro Paese italico è in piena regressione culturale, con una conseguente crisi economica che ha portato all’impoverimento. Eh si, perché la verità, di cui ancora facciamo fatica a prendere coscienza, è che siamo un Paese ormai povero, con un tasso di inflazione reale, non più sostenibile; basti pensare agli sproporzionati esborsi per la necessaria spesa alimentare. Al supermercato come in gioielleria.

Non ci siamo accorti, o non ne vogliamo prendere atto, che questo nostro sistema mondiale sta commettendo gli stessi identici e noti errori che portarono alla, forse evitabile, crisi oltre oceano del 1929.

Il Governo statunitense dell’epoca impose dazi del 20% su tutti i prodotti importati e per reazione gli altri Paesi risposero con la stessa moneta. Gli effetti prodotti da questo atteggiamento protezionistico furono inevitabilmente drammatici. Dal 1929 al 1933 l’import-export a stelle e strisce crollò del 67% (!), trascinandosi dietro tutto il commercio mondiale collegato, per effetto di quella che già era la globalizzazione.

Ci vorrebbero pagine intere di concetti macro economici per spiegare il perché delle conseguenze, che potremmo sintetizzare così: gli effetti dei dazi porta ad un inevitabile crack finanziario per effetto della contrazione del fatturato dell’export che costringe le aziende nazionali ad impennare i prezzi dei prodotti consumati all’interno dei confini nazionali.

La crescita dei prezzi è comunemente conosciuta con il nome di inflazione che è un elemento produttivo dell’abbattimento del potere di acquisto del consumatore percettore di quel reddito, che le stesse aziende produttrici erogano come pagamento salariale della propria forza lavoro.

Per recuperare quel denaro, presente sui mercati in eccesso rispetto alla produzione, per effetto della contrazione dei consumi, le aziende stesse devono necessariamente aumentare i prezzi per recuperare la vitale liquidità di funzionamento. Così da poter snidare il denaro da sacche di mancato consumo.

In questo scenario il rapporto reddito-consumo tende a non essere più in equilibrio e necessita di un aumento salariale in grado di sostenere l’aumento inflazionistico dei prezzi di mercato. E’ vero che salgono i salari, ma salgono anche i prezzi per riassorbire quell’aumento salariale, producendo una spirale che sia avvolge su se stessa, strozzando l’economia reale e non certo producendo quella apparente ricchezza proveniente dall’aumento degli stipendi. Questo è solo un banale equivoco.

Questo meccanismo in letteratura economica è noto come dinamica iperinflazionistica. L’incubo di ogni economista.

L’insostenibilità iperinflazionistica porta al naturale ed inevitabile innalzamento del tasso di disoccupazione, dato dai necessari tagli della forza lavoro.

I dazi sono oggi lo stesso errore che furono all’epoca e questo sembra lo abbiamo dimenticato.

Questo dovrebbe essere l’Europa. Dovrebbe essere la memoria storica, umana, economica e sociale. Non solo per ricordare lo scempio degli Olocausti umani, ma anche di quelli economici.

Ci manca la Cultura, soprattutto quella del ricordo.

Abbiamo un futuro senza memoria?

Per sanarci basterebbe tornare attivamente sui vecchi libri scolastici…la nostra memoria storica.

 

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