Micro uniVersi – Intervista a Silvia Ciurli

È il racconto, la parola che sceglie come venire al mondo.

Eccoci ancora qua! Oggi su Vite Narranti sono felice di poter dare spazio a Silvia Ciurli, bibliotecaria e scrittrice.

Il Micro UniVerso di Silvia
Ciso Silvia e grazie di essere con noi. Avrei piacere tu ti presentassi, e raccontassi da dove deriva questo nickname che usi sui social, @lapazzadelcampo, a mio avviso molto evocativo.

Ciao a te Lorenzo, e ovviamente a tutti i lettori e tutte le lettrici di Vite Narranti. Mi chiamo Silvia, ho 29 anni e sono originaria di Cecina, una cittadina della costa livornese. Mi sono diplomata al Liceo delle Scienze Sociali e ho frequentato il corso di laurea in Lettere Moderne, senza concludere gli studi. Tuttavia, la mia inclinazione per tutto ciò che sono gli studi umanistici, mi ha portato a incontrare l’incantevole e assolutamente non convenzionale biblioteca comunale dove lavoro, dilettarmi come relatrice di eventi e, in generale, bazzicare nell’ambiente culturale.

Il mio nickname nasce dal titolo di una mia poesia in prosa, e trovo che queste quattro parole mi rappresentino a pieno: un’anima romantica e solitaria alla ricerca del suo spazio del mondo, con i piedi ben radicati a terra ma con polvere di stelle sparsa tra i capelli.

Sei una bibliotecaria, quindi, neanche a dirlo, affascinata dai libri. Ho notato che sei incline anche alla scrittura della poesia, e ti domando se questo tuo esserne affascinata si riflette anche nei libri che leggi, o se, di contro, sei più orientata a manoscritti di narrativa.

Sono decisamente più orientata sulla narrativa, quando si tratta di letture.
Se dovessi scegliere un genere, direi che prediligo i romanzi di formazione, quelli in cui i protagonisti sono outsiders, incompresi, dilaniati in due dal desiderio di conquistare la vita e dalla tentazione di lasciarsi cullare dal nichilismo. Poi ci riescono, ad accettarsi e ad accettare ogni sfumatura dell’esistenza, ma a loro modo, storto ma eccezionale.

Come nasce la tua passione per la letteratura? È un qualcosa che si è evoluto ed ha preso piede nel tempo, o la hai da sempre?

Ho sempre amato la letteratura. Per la bambina spaventosamente timida ed emotiva che sono stata, era il passatempo ideale, un coloratissimo rifugio di tristezze e un incantato mondo di sogni.
Da adolescente mi sono immersa nei classici, amando particolarmente i maledetti della poesia francese.
Adesso sono una lettrice meno costante ma sempre appassionata e affascinata dal libro come simbolo di libertà, aggregazione, connessione emotiva che sa creare tra le persone.

Sul tuo profilo social di Instagram divulghi tuoi pensieri, versi e riflessioni personali. Ci sono tematiche ricorrenti o sono piuttosto variegate? Quali sono?

Direi che sì, ci sono delle tematiche ricorrenti. Penso sia inevitabile per chi come me parte da sé stessa per scrivere. Scrivere per me è innanzitutto uno strumento per leggere più chiaramente i miei pensieri e per elaborare i miei dolori. È poi anche una necessità, come una bestiolina che mi freme nel petto e scalpita per uscire.
Comunque, se dovessi darti delle parole chiave sulla mia poetica, sarebbero: prigione, speranza, amore (tanti tipi d’amore: è ricordarmi che l’amore c’è e ci meritiamo a vicenda).

Quando scrivi poesie, noti di adoperare ad uno stile di scrittura ricorrente, o ogni componimento è in genere diverso dall’altro nel ritmo e nella fluidità? Dai un titolo a ciò che scrivi?

Anche qui, penso che i miei componimenti abbiamo una musicalità simile tra loro. Non ci pongo attenzione, nello scrivere mi concentro sulla singola poesia in modo che sia un quadro a sé stante, con tutte le rifiniture che ritengo necessarie per far sì che i lettori lo possano decifrare nella sua completezza. Generalmente do un titolo a ciò che scrivo; non lo trovo fondamentale ma mi sembra come mettere una ciliegina sulla torta.

Mi sono accorto che non sempre dai forma ai tuoi pensieri e alla tua interiorità sottoforma di versi, ma talvolta anche in prosa. Riesci a definire cosa ti dà l’uno e l’altro tipo di scrittura a livello emotivo?

Non ci sono differenze dal punto di vista emotivo.
È il racconto, la parola che sceglie come venire al mondo. È difficile da spiegare, ma a un certo punto è la creazione a guidare il creatore e allora è necessario affidarsi, perché dentro di noi c’è un universo di cui non siamo consapevoli e che può portarci a scoprire parti di noi che solitamente restano nell’ombra.
Anche quando scrivo in prosa, trovo che la vena poetica rimanga forte. Tutto è molto etereo, soffuso, fiabesco.
Ho avuto il piacere di fare da relatrice alla scrittrice Carla Maria Russo che ha definito ciò che scrivo come “poesia in prosa”. Lo trovo calzante.

Hai mai scritto un libro che raccogliesse i tuoi pensieri, o pensato di farlo? Ti domando di raccontare un po’ in proposito.

Sì, certamente. Ho anche ricevuto delle offerte editoriali, che però ho declinato. È un mondo quello editoriale in cui molto facilmente gli autori esordienti possono incappare in truffe o comunque in contratti che non li tutelano affatto. Io preferisco rimanere in attesa di una proposta da parte di una casa editrice seria, valida, che prenda il suo lavoro e i suoi autori seriamente.
Se ciò non accadrà mai, continuerò per la mia strada. La scrittura fa parte della mia personalità e sono gelosa e protettiva di ciò che scrivo. Se mai le mie parole dovessero essere pubblicate, devono farlo in maniera dignitosa.

Secondo te la poesia è davvero un ambito accessibile e frequentabile da “pochi”, in paragone alla letteratura in prosa, o è solo una questione di preconcetto?

Assolutamente no, è un preconcetto. È chiaro che per sua natura risulta più criptica della prosa ma penso sia un retaggio che tanti sì portano dietro dalla scuola. La verità è che la poesia è tanta, e ogni poeta ha il suo mondo, il suo linguaggio, le sue immagini.
Per me la cultura tutta è fruibile da chiunque. Devo anche dire che alcuni addetti ai lavori, per così dire, devono scendere dal piedistallo su cui si sono eretti. Pensa, io ho letto a dei bambini della scuola primaria “Cecino e il bue”, di Italo Calvino. Sono morti dalle risate e hanno conosciuto un grande della letteratura con leggerezza. A volte basta un cambio di prospettiva, scegliere letture diverse, mettersi un po’ in discussione… e togliersi le scarpe per sdraiarsi sui tappetini!

Con l’avvento degli e-reader, e-book, audiolibri, sembrava che il cartaceo dovesse sopperire nel giro di un periodo di tempo relativamente breve. Eppure, nonostante la praticità di poter portare dietro la propria biblioteca personale in un unico dispositivo compatto, il cartaceo resiste ancora. Secondo te perché? C’è solo il fascino di profumi, tatto e atmosfera che un libro “concreto” riesce a dare o anche altro dietro?

Sicuramente la resistenza del cartaceo è imputabile al fascino che il libro esercita, che va al di là del puro romanticismo dei sensi: i lettori forti possono essere paragonabili a dei collezionisti, quindi diventa necessario possedere l’oggetto libro. È altresì innegabile che un oggetto non esiste solo nel tangibile ma nella mente: si carica di significati profondi, simbologie e ricordi che lo legano indissolubilmente al lettore. È carne collegata alla carne, anche se di carta.
Penso e spero in un futuro in cui entrambi possano continuare a coesistere.

La poesia come “aiuto”

Per Silvia la poesia si configura come una necessità, un aiuto e come dice lei è “la maniera più efficace che conosco per indagare, districare e tentare di salvare me stessa dai turbini della mia mente.”

Ringraziandola tanto per il tempo investito nel rispondere a qualche domanda, penso che non ci sia modo migliore per salutarci che facendolo riportando una sua, poesia per lei significativa.

Ci furono giornate buone

Vorrei sottrarti
Dalle tre ombre che disegni la notte
Sicari -o angeli?- ai confini del letto

Disarmarli o armarti
Poca sarebbe la differenza
Le guerre si vincono ad armi pari
Il potere delle fionde regna nelle fiabe

Mi chiedo come possa un lupo di mare
Non saper più annusare gli umori del vento
Con che abito vesta la sua esistenza
Dopo la diagnosi di amnesia del suo genio

Mi costringono la gola stalattiti di ieri
E in questo paranoico annaspare
Scende la marea al pensiero
Del dissolto pettirosso curato dalle tue mani

Silvia Ciurli

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