Micro uniVersi – Intervista a Doris Bellomusto

“Scrivere un verso a volte è come prendere appunti mentre l’anima detta emozioni”

Oggi su Vite Narranti ho la grande gioia di poter ospitare una persona preziosa, un’amica e, ancor prima, un’anima affine: Doris Bellomusto.

Il Micro UniVerso di Doris
Un caloroso benvenuto a Doris. Doris è docente di scuola secondaria di secondo grado a Barga (Lu), poetessa, scrittrice. Intanto grazie di aver deciso di dedicare questo tempo per qualche chiacchera in tranquillità. Mi piacerebbe, per iniziare, che ti presentassi a modo tuo, per chi non ti conoscesse. 

La gioia è mia e ti ringrazio per questa attenzione. Non so presentarmi a modo mio se non attraverso il mio nome. Mi chiamo Doris, ho un nome che sembra sibilare, non è chiuso da vocale, resta aperto. Io cerco di essere degna di un nome così, in parte ricalca il nome di mia nonna, lei si chiamava Dora, portava un nome breve, chiaro, luminoso, un cerchio chiuso che ancora mi protegge. Io vengo da un mondo di donne forti, sono l’ultima della famiglia, eredito luci e ombre, lune storte, temporali, panni stesi ad asciugare. Ho il cuore pieno di vento.

La poesia è una costante dei tuoi giorni, è innegabile. Dici “Si spezza la vita quando si scrive in versi, e il verso è l’unità di misura della poesia. Ogni verso contiene la possibilità di un nuovo inizio. Può dare vertigini leggere poesie”. Usi il verso, secondo me, a volte in modo scanzonato, a volte nostalgico, a volte riflessivo, a volte randagio e selvatico, a volte spirituale, a volte con “carne e sangue”.
Con questo ti domando: secondo te come mai esprimi te stessa mediante la forma poetica, e meno, ad esempio, tramite prosa. Usare il verso, la frase spezzata, aiuta a ricomporsi, per vedersi interi?

Io scrivo in versi perché spesso non sono interi i miei pensieri oppure perché sento il bisogno di spezzarli, frantumarli, ricomporli. Non per posa scrivo in versi, ma perché mi sento più sincera e viscerale. La sintassi di un testo poetico mi sembra possa essere più vicina alla forma dei discorsi interiori, spesso frantumati, abbozzati, persi di vista prima di essere messi a fuoco. Scrivere un verso a volte è come prendere appunti mentre l’anima detta emozioni, smuove memorie, insegue chimere.

“Come le rondini al cielo”, “Fra l’Olimpo e il Sud”, “Nuda”, e la più recente “A corpo libero. Esercizi di poesia”; queste le raccolte poetiche che hai pubblicato con varie case editrici. Sarebbe senza dubbio necessario ritagliarsi più tempo per poter esplorare ogni pubblicazione in maniera adeguata, ma qui ti chiedo a quale silloge tu ti senta più legata e perché, facendo, se vuoi, una panoramica sulle tematiche che tratti.

Io credo di aver esplorato dalla prima all’ultima silloge sempre il mio stretto perimetro esistenziale.
C’è la mia storia, la mia pelle, le mie rughe, le smagliature, le paure. C’è la mia terra, la mia infanzia, l’amore, la morte, lo stupore.
Non so dire a quale io mi senta più legata. Forse, non è un caso che nella mia ultima silloge, “A corpo libero. Esercizi di poesia”, edito da Le Pecore Nere, io abbia voluto far confluire anche la mia prima raccolta “Come le rondini al cielo”, pubblicata nel 2020 dalla casa editrice “Tracce” diretta da Ubaldo Giacomucci, che non è più tra noi e che mai dimenticherò per avermi incitata a scrivere quando ero ancora troppo timida per mettermi a nudo.

Sei anche direttrice della collana di poesia “Foglie” per la casa editrice Le Pecore Nere. Ti domando che tipo di impronta ti piacerebbe dare a questa collana.

Le parole respirano, le poesie sono come le foglie. Come le foglie, la poesia contiene linfa vitale, energia e colore, è bella sempre. Mi aspetto una collana di poesia leggera e viva, una poesia che porti in dono nuovi respiri, nuove visioni, rivoluzioni.

Chi ti conosce, e chi ti legge, può avvertire delle tue nostalgie mai sopite, legate alla tua terra di origine, la Calabria. È inevitabile che la poesia che si esprime sia riflesso di ciò che si vive: secondo te in che modo sarebbe stata diversa ad oggi la tua poesia se fossi rimasta nei tuoi luoghi nativi e non avessi intrapreso questa scelta di abitare in Toscana? Mi rendo conto che può risultare difficile rispondere, è complesso ragionare su una vita che non è stata, ma sono curioso di sapere la tua opinione su questo.

A questa domanda credo sia onesto rispondere che non lo so e non lo so neppure immaginare, ma forse ha ragione Pavese, abbiamo bisogno di luoghi da attraversare con nostalgia. La poesia è per me una strada che percorro per ritornare sui miei passi, tra i ricordi, è un modo per viaggiare tra le mie incompiute identità, nasce da una mancanza, se fossi sazia non scriverei.

Dalla collaborazione con Tiziana Tosi sono nate le raccolte illustrate di “Ti abbraccio, Teheran” e “Arianna”. Ti chiedo, se ti va, di descrivere brevemente il contesto di questi due libri, e di raccontare le sensazioni che ti ha dato il veder prendere forma delle tue parole nelle illustrazioni di Tiziana.

Tiziana mi presta la luce dei suoi occhi e dà colore e calore alle mie parole. Si tratta di due albi illustrati della collana “Segni”, Le Pecore Nere editore. Gli albi illustrati hanno tanto da raccontare anche al mondo adulto. Raccontano due storie molto distanti nel tempo e nello spazio, ma li accomuna l’attenzione al tema dell’autodeterminazione, del coraggio, del desiderio di scoprire la propria identità e non piegarsi al fato. Le trame non le racconto, chi vorrà saprà cercare e trovare, preferisco dire della mia emozione nel tracciare due profili così forti attraverso i miei testi ibridi di prosa e poesia.

Hai mai provato a fare esperimenti di scrittura in prosa? Ci hai mai pensato?

Ho scritto e pubblicato in un’antologia un racconto storico. “Lo stesso nome” dedicato a un personaggio immaginario di nome Michele Bianchi contemporaneo del quadrumviro, ma destinato a spaccarsi le ossa nelle campagne assolate della mia terra. Ho scritto racconti pubblicati online, molti per il blog “Racconticon”.
Mi piace la prosa, mi piace la poesia, mi piace anche mescolarle, in fondo anche la vita è ibrida.

Secondo te come mai la poesia ancora oggi è vissuta prevalentemente come ambito “di nicchia”, e fa ancora fatica ad affermarsi come occasione diffusa e diretta di condivisione fra più persone? Secondo te fa ricorso ad un linguaggio sulla carta “troppo complesso” e che spaventa chi vorrebbe provare ad avvicinarsi?

La poesia richiede cura e attenzione, animo aperto e cuore attento, non si può imporre, si può proporre. Chiede voci delicate, va sussurrata. Non si può declamare,
non si può vendere. Si può offrire, ma senza fare rumore. La poesia dovrebbe somigliare secondo me al caffè sospeso. Anche la poesia andrebbe diffusa ovunque e in forma anonima.

Ti andrebbe di consigliare un libro che hai letto e che davvero ti è rimasto nell’anima? Sentiti libera di argomentare o meno.

In prosa, l’ultimo libro bellissimo per me è “Grande Meraviglia” di Viola Ardone, in poesia tutto tutto tutto di Wislawa Szymborska.

Usualmente sono sempre interessato nel porre questa domanda, per la curiosità che riservo nella risposta e nei vari punti di vista in cui mi imbatto: che cosa è per Doris la poesia?

La poesia è la vita vista con la coda dell’occhio, chi scrive e legge poesia cerca una prospettiva diversa da cui guardare al mondo e a se stesso, nasce da un pensiero divergente, è un atto creativo, un gioco, un ritorno all’infanzia, la ricerca di un altrove da abitare.

Può dare vertigini leggere poesie

Le parole di Doris sono sempre care da leggere e ascoltare, e per questo sono contento di poter riportare un suo componimento, tratto dalla raccolta “A corpo libero. Esercizi di poesia”, edito da Le Pecore Nere 2024.

La tenerezza

La tenerezza non è tenue né lieve
è il taglio obliquo che recide il cuore
fraziona l’intero in cento stanze
vuote d’arredi e di decori
ne fa dimora di sogni andati a male.

Doris Bellomusto

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