Per coloro che viaggiano molto per lavoro o che vivono all’estero lontano dalla propria famiglia, prima o poi arriva…La fatidica domanda, posta da un amico, un parente, una persona conosciuta da poco…”Ma come fai? Non ti senti solo/a?”
Come raccontavo al microfono di Raymond qualche tempo fa, anche se sono nata in Italia, in realtà dai vent’anni in poi ho studiato e lavorato soprattutto all’estero e ogni volta che ritornavo a casa in Italia, immancabilmente ricevevo la domanda che ho riportato poche righe sopra. Inizialmente rispondevo che avevo trovato dei nuovi amici, che l’università o il lavoro mi tenevano occupata, che l’adrenalina e l’energia che ricevevo dal nuovo Paese che mi aveva accolta mi davano la forza per superare la nostalgia. Successivamente però, tra me e me, ripensavo a quella domanda e senza la pressione di dover dare subito una risposta al mio interlocutore, mi sono presa il tempo necessario per riflettere davvero sul significato di quel quesito…”Mariachiara, tu come fai? Non ti senti sola?”.
Ho iniziato così a cercare una risposta più profonda dentro di me, a cercare di capire come mi sentissi davvero lontano da casa, senza la necessità di dire per forza che andasse tutto bene. Mi sono fermata a pensare e a domandarmi come stessi, come mi sentissi. Mi sentivo sola? Con me stessa dovevo essere sincera, non c’era bisogno di mostrarmi forte ad ogni costo (errore che a volte commetto).
La risposta era “sì”, mi sentivo sola a volte ma nella maggior parte dei casi stavo bene. E da qui la domanda successiva “e come fai?”. È vero, sicuramente è stato fondamentale creare nuovi rapporti di amicizia, avere armonia sul posto di lavoro, partecipare ad eventi dalle tematiche più disparate perché imparare qualcosa di nuovo porta con sé un senso di gratificazione, soddisfazione, ci arricchisce e ci distrae dai momenti di solitudine…Ma c’era altro…
Nel corso degli anni e vivendo in diversi Paesi ho piano piano scoperto che, quasi senza accorgermene, avevo trovato, assaggiato e continuato ad assumere quello che per me era un vero e proprio “antidoto antisolitudine” ossia avevo imparato con il tempo ad amare e ricevere amore non solo dagli altri, cosa importantissima, ma anche da me stessa.
Suppongo sia stato un processo naturale e spontaneo, probabilmente avevo capito che se si fa riferimento solo agli altri, beh il rischio è che quando ci si allontana da quegli affetti che ci donano forza, sicurezza e ci tengono alla larga dalla solitudine rischiamo di sprofondare in una nostalgia che ci impedisce di vivere a pieno il presente. Quando il corpo è in un posto ma il cuore in un altro è difficile godersi al 100% quello che la vita ci offre in quel preciso istante. La nostra mente pensa alle persone che non sono con noi, ricordando momenti sicuramente bellissimi ma non attuali.
Quando, invece, oltre all’amore per gli altri, impariamo ad amare profondamente anche noi stessi, allora capiamo, perlomeno per me è stato così, che non saremo mai completamente soli, che possiamo godere della nostra stessa compagnia, divertirci anche senza essere sempre al fianco di qualcuno. Insomma, vedere il silenzio non come un vuoto ma come un’occasione.
Ad un certo punto, quando fresca fresca di studi sono partita per l’Inghilterra per studiare e non avevo più vicino i miei genitori ad occuparsi di me, ho capito che io stessa avrei dovuto prendermi cura di me (e mi chiedo…Forse proprio questo significa diventare adulti). E cura significa amore. Così ho iniziato, con sempre maggiore consapevolezza, a volermi bene in tutte le espressioni che l’amore conosce.
Tutto ciò si traduceva e si traduce in diversi modi: dal cucinare piatti sani (e non solo ad aprire scatolette di tonno o barrette di cioccolato per sfamarmi come facevo), a mettermi sciarpa e cappello quando c’è vento perché sono soggetta al mal di gola, a chiedermi se quello che sto facendo mi piaccia davvero, a concedermi lunghi pianti se è quello di cui ho bisogno in quel momento, a prendermi con autoironia scherzando su lati del mio carattere come farebbe un’amica, a non essere troppo severa con me stessa, a perdonarmi se commetto degli errori ecc.
Forse ho scritto banalità ma tutto ciò è stato ed è per me fondamentale per non sentirmi sola quando sono lontana da casa. Probabilmente qualcuno, leggendo le righe sopra, potrà pensare che ad essere doppio non sia solo il mio nome (Mariachiara) ma anche la mia personalità. Chissà…Tuttavia per me l’aver imparato a volermi bene, a rispettare il mio corpo tanto quanto a proteggere il mio cuore, il ridere da sola ripensando a qualcosa accaduto durante la giornata o fare una passeggiata in montagna godendomi la compagnia di me stessa oltre che alla bella vista rappresenta davvero un antidoto che ho scoperto vivendo e che non credo che lascerò più!
Se sono importanti i rapporti con le altre persone, che sono una vera e propria fonte di calore, altrettanto lo è il rapporto con noi stessi e la cura che riserviamo alla nostra persona.
Naturalmente quanto appena scritto non ha la pretesa di contenere una soluzione generale e univoca alla nostalgia e alla solitudine. È semplicemente una condivisione che spero possa servire a qualche lettore di Vite Narranti che magari, proprio adesso, sente quel nodo in gola, quella fitta al cuore che compaiono pensando a casa. Questo è il mio antidoto, sarebbe curioso scoprire quale sia il vostro!