Come vi raccontavo nell’articolo precedente, dopo aver parlato tranquillamente con mio papà riguardo la proposta che avevo ricevuto di andare ad insegnare in Kazakistan, il primo giorno di agosto di 6 anni fa sono partita dall’aeroporto di Milano Malpensa e, facendo scalo a Mosca, sono arrivata ad Almaty.
Ho insegnato inglese a bambine e adolescenti tra i 6 e i 15 anni gratuitamente in cambio di vitto e alloggio. Questo era l’accordo. Grazie alle persone che ho conosciuto nella struttura che mi ospitava, ho imparato a scoprire piano piano, dopo le ore di insegnamento, i luoghi più belli non solo della città ma anche della stessa regione. Ne ero semplicemente estasiata!
Un giorno ho letto che secondo alcune leggende il paradiso terrestre, l’Eden, era situato proprio ad Almaty, o meglio…Almata, come si chiamava la città in passato. Infatti sono famose le sue mele, piccole e deliziose ma non è tutto. La città è circondata da bellissime montagne molto conosciute e apprezzate dai locali. C’è anche un meraviglioso lago blu/verde (BAO) che si trova ad un’altitudine di 2500 metri e che raccoglie le acque delle nevi che si sciolgono con il disgelo primaverile. E come non citare l’incredibile canyon di Charyn. Pochi sanno che al mondo esistono due grandi canyon: quello californiano e quello kazako, purtroppo meno noto ma non per questo di minor bellezza.
Anche la città stessa offre spunti molto interessanti, soprattutto ad occhi europei non abituati a vedere un mix di culture così preponderante, in cui per esempio le chiese ortodosse sono affiancate ai minareti delle moschee (il Kazakistan infatti è un Paese prevalentemente musulmano). Curioso è anche il Zeleny Bazar (tradotto: bazar verde) dove, come capita anche in Est Europa, si trovano nonnine intente a vendere qualsiasi cosa. Letteralmente! Infatti si possono vedere banchi di stracci e utensili per la casa vicino a venditori di carne che a loro volta si trovano vicino a tavoli pieni di semenze e piante.
Sicuramente non mi dimenticherò di quella simpatica signora al banco dei formaggi che mi fece provare per la prima volta il kurt: piccole sfere bianche solide di formaggio di capra. Personalmente le ho adorate, meno la mia famiglia quando le ha assaggiate dopo che ne avevo portate alcune come souvenir. Ma come dicevano i romani…De gustibus!
Altrettanto interessante è il beshbarmak: un piatto che unisce il brodo a pezzi di carne di cavallo (molto tipica) e pasta piuttosto spessa, quasi come se fosse la pasta dei cannelloni da noi.
Insomma, come avrete intuito sono tornata a casa dal Kazakistan felice: avevo gli occhi riempiti della bellezza della natura del luogo, lo stomaco altrettanto soddisfatto ma soprattutto è stato un viaggio che ha fatto bene al cuore. L’ospitalità che ho trovato mi ha permesso di sentirmi parte di un Paese e di una cultura per certi aspetti così lontana. La sacralità dell’ospite, che da noi forse si è parzialmente persa, è un principio fondamentale per i kazaki ed è “buffo” come ogni Nazione abbia le proprie usanze e ciò che per qualcuno è strano, per altri è assolutamente normale.
Vi farò un breve esempio: un giorno fui ospitata da un’amica di un amico a casa sua per cena. Così chiesi consiglio alle persone che avevo conosciuto grazie al campo estivo su cosa poter portare come segno di ringraziamento. Mi aspettavo di ricevere risposte che menzionassero torte, vino, fiori e invece, con mia grande sorpresa, mi dissero che il regalo che sarebbe stato più apprezzato per la cultura locale dell’ospite sarebbe stato un bel cesto di frutta. La frutta? Proprio così. In Kazakistan è piuttosto costosa e quindi è sempre molto gradita. Pertanto non è strano invitare a casa una personalità importante e vederla arrivare con un casco di banane in mano (fatto realmente accaduto).
Questo forte senso di ospitalità ha continuato a sorprendermi anche durante la cena stessa a casa dell’amica del mio amico. Infatti, per gentilezza e in totale sincerità e ingenuità, avevo fatto degli apprezzamenti ad alcuni oggetti presenti nella sala da pranzo a seguito dei quali trovai la padrona di casa con in mano quegli stessi oggetti che mi erano piaciuti pronta a regalarmeli, in quanto io ero il “sacro” ospite. Ovviamente ringraziando non accettai, pensando che per le visite successive in Kazakistan avrei dovuto tacere di più (o prendere una valigia più grande!).
A questo punto, quindi, non credo sia nemmeno necessario concludere dicendo quanto per me il viaggio (che non fu l’ultimo) in quella parte del mondo mi meravigliò e mi permise di conoscere un popolo che ha un’incredibile storia e interessanti tradizioni da raccontare.
Così, una volta ritornata in Italia, ascoltando i miei racconti, vedendo le fotografie che avevo scattato, percependo il grande entusiasmo, il mio babbo non poté che esclamare: “Proprio bello questo Kazakistan. Chi l’avrebbe mai detto!”.