Il tempo di parlare

Tornando a casa dopo l’annuale incontro a scuola contro il bullismo, lei e suo figlio Giulio avevano discusso quanto ascoltato. Alla fine, un po’ annoiato lui si era messo gli auricolari e pace.

Per lei no. La storia della studentessa molestata a scuola l’aveva in un attimo riportata in quella classe, al cambio dell’ora quando il caos regnava sovrano per pochi minuti, sufficienti perché mani prepotenti le arrivassero in ogni angolo intimo del corpo. In due, tre l’accerchiavano, la riempivano di parole eccitanti alle loro orecchie, sudicie alle sue. A volte le strofinavano la testa sopra la patta dei loro jeans a simulare qualcosa a lei ancora sconosciuto.

Lei si dimenava, cercava di liberarsi, ma senza mai urlare.  In un’aula piena, solo lei rimaneva sempre bloccata in un angolo.  Allora non le dispiaceva? Li provocava? Ma come? Lei che non aveva ancora dato il primo vero bacio, desiderava quelle mani? Sembrava nessuno notasse nulla in classe.  Un’unica volta un compagno, Luca le disse “Ma perché non li mandi dal preside?”. Lei non aveva risposto. Era rimasta immobile in silenzio.

Si vergognava. L’idea di doverlo dire a voce alta la imbarazzava mortalmente. Si negava di pensare a quei momenti, li metteva in un angolo della mente dove non tornava mai.  Impensabile denunciarli.  Lo avrebbe fatto se fosse successo ad una compagna.  Non erano i ragazzi a farle paura. A terrorizzarla erano il giudizio, gli sguardi, i bisbigli.

A casa semplicemente non se ne parlava.  “Stai lontana dai ragazzi ché tanto a pagare sono sempre le donne” era stata la lezione della madre, abbandonata dal marito con due figli, e Camilla aveva imparato a tacere.

Non era più tornata in quell’aula fino adesso. Ora però, rientrando in quel luogo buio del passato la rabbia l’aveva assalita e aveva fatto urlare a quella ragazzina tutto il disprezzo verso quei brufolosi in jeans calati che l’avevano umiliata. Si era sentita persa, sporca, sbagliata. Adesso avrebbe voluto consolare quella ragazza sola e spaventata. Parlarne era la via per proteggere altre giovani donne da quella sensazione di vergogna, solitudine e frustrazione. E Camilla decise che era finito il tempo di tacere.

 

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2 risposte

  1. Da ex bullizzato, nn posso nn dire la mia! Sono stato lì, nel mezzo del tornado del bullismo, tra parole che ferivano più delle botte e degli scherzi. Ma sapete una cosa? Ho imparato che l’intelligenza è il mio superpotere. Ho trasformato ogni insulto in un trampolino per raggiungere le stelle.

    1. Bravo Sebastian. Mi dispiace solo che ancora nelle scuole e forse anche fuori, non ci sia una società inclusiva dove l’adulto insegni al bambino che le differenze sono un arricchimento e che chi è più fragile va protetto e non attaccato. I segni del bullismo, molte persone li portano a vita e ancora troppo spesso, a mio dire, viene visto come una “ragazzata”. La violenza verbale o fisica non è mai una ragazzata.

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