Davide stava rientrando a casa imprecando contro l’afa, il traffico, i secchioni pieni e i condomini che non salutano mai quando li incroci al portone.
Sentire, mentre infilava le chiavi nella toppa per aprire, la voce di sua figlia undicenne che cantava una canzone di “Ultimo” sparata a tutto volume, lo rimise di buon umore.
Fu in quel momento che il telefono squillò. Suo fratello.
“Bello mio, ma che cazzo di caldo fa?”
“Davide oggi Andrea di Pomid’Oro si è sentito male e, Davidì, ci ha lasciato. Un infarto.”
Davide chiuse la porta e riscese in strada.
“Ma che stai a di’? Andrea l’ho visto stamattina. Sono passato davanti al negozio suo e mi ha chiesto se prendevo un caffè”.
Davide si rivide affacciato al negozio “Buongiorno a lor signori”.
“Bello mio, caffè al volo?”
“Andre’, ma ‘sta panza? Manco mi moje a nove mesi”
“Davidì, i chili che hai perso te qualcuno li doveva riprendere e c’ho pensato io, ‘sto caffè?”
Erano scoppiati a ridere e lui gli aveva detto che non aveva tempo per il caffè. Doveva correre da un cliente. “Alla prossima, ragazzone”.
Ora quella prossima volta era svanita.
Scomparsa insieme alle chiacchiere sul rodimento del lunedì mattina e quelle sulle prossime vacanze al mare.
Andrea lo aveva rimbambito per ore e ore parlando del suo amore per il surf. Il luccichio dell’acqua, il sole che secca la pelle tirata dal sale, il vento nelle orecchie che lui descriveva come la più bella melodia di sempre.
Non lo avrebbe più trovato la sera tardi a impastare sul tavolo di marmo nel retrobottega, per preparare il pane per l’indomani. “Solo le migliori farine e lievito madre”,
Lui, che con il fratello nel 1995 a soli vent’anni, aveva messo su un’attività premiata regolarmente dal gambero rosso.
“L’anno prossimo, Davide bello, festeggiamo trent’anni. Mega festone, poi chiudiamo tutto e ce ne torniamo nel Salento a surfare tutto il tempo”.
Sperò che esistesse un paradiso fatto di mare e di vento.
Grazie ad Andrea e suo fratello Luigi, lì aveva imparato a mangiare cibo stagionale, prodotti genuini, eccellenze fatte senza “veleni”.
Gli vennero in mente le serate in cui, quando chiudeva bottega, passava a salutarli e Andrea gli faceva cenno di entrare, tirava giù la saracinesca e cominciava ad affettare prosciutti di cinta senese, formaggi che gli allevatori portavano solo a loro, birre artigianali o un vino naturale di quelli che “il mal di testa non ti viene nemmeno dopo dieci litri”. Quante risate in quelle ore seduti su una cassetta della frutta, a parlare della vita e a dir cazzate poggiati su una botte.
Salì in macchina e senza rendersene conto si ritrovò davanti alla vetrina di Pommid’Oro.
Niente saracinesca a mezza altezza. Niente luce nel retrobottega. Niente musica assurda che solo Andrea riusciva ad ascoltare.
Andò al bar in piazzetta. Simone, il barista lo guardò e gli occhi si riempirono ad entrami di lacrime.
“Simo’, due caffè per favore, a portar via.”
Ne posò uno sul gradino di Pommid’Oro. “Alla prossima, amico mio” e buttò giù il suo.