Cervello Solitario: Esplorando l’Isola Interna della Solitudine
Bentornati al consueto appuntamento con “Pensieri a Raffica: Il Mio Cervello in Evidenza”. Questa volta esploreremo il selvaggio e incontaminato ecosistema della solitudine, quella landa desolata in cui il cervello si ritrova a vagare, senza come né perché, quando le circostante organizzano un party a sorpresa… per uno. Tra introspezione, conversazioni fantasma e l’estenuante lotta tra il desiderio di socialità e la voglia di girare per casa in pigiama, scopriremo come tale protagonista solitario riesce a divertirsi anche quand’è solo. Potete ridere o riflettere, a voi la scelta. Ma preparatevi, perché quella di oggi sarà una riflessione a voce alta anziché un pensiero vero e proprio.
Riflessione N. 101
La solitudine, quella compagna silenziosa che nella maggior parte dei casi è l’unica entità disposta a trascorrere un po’ di tempo con te. Una relazione a senso unico. Un amore non corrisposto tra l’essere vivente e il vuoto che lo circonda. Non pretende nulla in cambio, perché è una buona ascoltatrice.
Io, ad esempio, ho un rapporto piuttosto intimo con la solitudine. È il mio personalissimo momento speciale, quando posso canticchiare sotto la doccia senza rischiare di frantumare i timpani a qualcuno, o pensare ad alta voce mentre guido, e quelli che vengono dalla direzione opposta mi fissano seriamente intenzionati a chiamare i tizi in camice bianco. Nella mia condizione, la solitudine è una perfetta spalla su cui appoggiare la fronte e versare qualche lacrima, specie quando il finale di un film particolarmente significativo mi stordisce (Oppenheimer), o quando Kevin Plawecku, ricevitore dei Boston Red Sox (la mia squadra di baseball preferita), manca una palla lunga che riuscirebbe ad acchiappare persino un artritico con le ginocchia in frantumi in equilibrio su una gamba sola.
Tuttavia, ci sono giorni in cui tanta premura diventa appiccicosa. Tipo quando inizia a darmi consigli sulla vita amorosa, ricordandomi che forse è il caso di scaricare quella benedetta app d’incontri per uscire dal guscio e sistemarmi una volta per tutte con una ragazza abbastanza assennata da decidere di trascorrere il resto della vita con me (per chi fosse interessata, può chiedere il mio numero in redazione). Oppure quando critica la mia dieta, rimproverandomi del fatto che panini e gelati non costituiscono un piano alimentare bilanciato, e che mangiare più frutta e verdura sarebbe l’alternativa ideale. Anche ora posso sentirla battere le mani e dire: «Dovresti uscire di più, socializzare, incontrare persone nuove e fare cose nuove.» Ha ragione. Ma non posso. Per quanto sia tentato di seguire il consiglio, non riesco a far nulla finché c’è lei seduta sul divano con le braccia incrociate e un sopracciglio inarcato.
Ma il bello dell’isolamento è che, oltre alla pazzia, può portarti a scoprire talenti che neanche sospettavi di avere. Per quel che mi riguarda, trascorrere tanto tempo in compagnia dei miei pensieri mi ha reso capace di tradurre a parole qualsiasi cosa mi passi per la testa, anche la più insulsa. Sono diventato l’interprete di me stesso (curioso come concetto, è la prima volta che mi viene in mente). Ora capisco come mai quelli che mi chiedono «ma come fai a scrivere?» mi guardano come se parlassi ostrogoto quando rispondo che scrivere è facile «basta che scrivi quello che pensi».
Scherzi a parte. Pur non capendone il corretto funzionamento, la solitudine può essere un momento prezioso per la riflessione e l’autoconoscenza. È quando rimaniamo in compagnia di noi stessi che impariamo a scoprire di cosa siamo capaci, rispolverando passioni dimenticate e valutando chi ci circonda in modo più attento, capendo in questo modo di chi possiamo veramente fidarci (consiglio, diffidate da quelli che ridono troppo e senza motivo). Saremo noi, e sempre noi, i primi ad esserci quando avremo bisogno di qualcuno con cui parlare.