Pensieri A Raffica: Il Mio Cervello in Evidenza (Riflessione #552)

Campioni di Benpensantità: Il Teatro dell’Ipocrisia

Cari lettori smaliziati, benvenuti all’ormai consueto appuntamento settimanale con “Pensieri A Raffica: Il Mio Cervello in Evidenza”. Nell’episodio di oggi, ci immergeremo nell’abisso della bontà farlocca e nell’arte di essere “benpensanti”. Il nostro compito non sarà distruggere la moralità, bensì analizzare per quale motivo alcuni individui si ergano a giudici implacabili dei comportamenti altrui senza che qualcuno glielo chieda. Sarà un viaggio nella mente di chi crede di essere il “salvatore di un mondo in decadenza”. Ricordate: nessun sarcasmo sarà troppo acuto, nessuna ipocrisia troppo ovvia, e nessuna risata troppo rumorosa in questa avventura che inizia… ora!

Riflessione #552

Ah, il moralismo dei benpensanti, quelli che hanno conseguito il diploma di perfezione morale senza aver mai alzato un dito se non per indicare gli errori degli altri. Che meraviglia! Davvero! Facciamo un bell’applauso alla loro innata capacità di giudicare il prossimo senza il minimo fondamento o per il fatto che, invece di prendere in mano la situazione e fare qualcosa di costruttivo, preferiscono rimanere al di là dell’infrangibile vetro della supremazia etica. Già li vedo: impettiti e con lo sguardo alienato, che fanno una smorfia mentre provano a far entrare nel tuo cervello bacato un concetto che anche un bambino di cinque anni riuscirebbero a capire.

Parliamo di creature mistiche, autoelette a supremi giudici della vita, con qualche dozzina di scheletri stipati nell’armadio manco fosse una svendita di Halloween. Non sarebbe una cattiva cosa se l’educazione sopraffina di cui vanno fieri insegnasse loro che il rispetto per la differenza e l’empatia altrui sono fondamentali per una società unita. Al contrario, essi usano la pretesa di imporre il proprio punto di vista su chi non ha la possibilità o i mezzi per replicare, brandendo l’ipocrisia come una mazza per picchiare chiunque osi non essere all’altezza del rango sociale di “culturalmente elevato”.

Cari benpensanti, come umile artigiano della parola che neanche morto sogna di essere come voi, vi lancio una sfida: invece di nascondervi dietro le colorate maschere della moralità che amate tanto e prendere a cannonate chiunque abbia cose più importanti da fare che ascoltare gli astrusi concetti di cui tanto vi vantate, uscite allo scoperto. Mettete la testa fuori dal fortino e gettatevi nella mischia. Assumetevi la responsabilità di migliorare la faccenda, anziché criticare da lontano chi ci prova o chi lo fa per davvero. Tiratevi su le maniche. Non rimanete nell’ombra a screditare.

A proposito, già che siamo in tema, aiutatemi a chiarire un dubbio: perché, quando parlate e snocciolate roba assurda, cercate sempre e in continuazione l’approvazione di chi neanche sa come si scrivono gli argomenti che decantate con tanta fierezza? Che senso ha pretendere l’applauso dai perdigiorno dell’intelletto, dai pensatori a mezza penna e dagli intenditori improvvisati? Chiunque possa tartassare un tastierino o scrivere due righe su un social network si sente in diritto di esprimere giudizi con la vanità di essere ascoltato, anche se la conoscenza che ha dell’argomento è più superficiale di una macchia d’olio.

E che dire della sempre più di moda tendenza al puritanesimo morale, la fissazione del politicamente corretto spinto all’estremo che, invece di mettere ordine, offusca la discussione facendoti andare di traverso le parole? Termini e nomenclature banditi come se fossero il diavolo in persona, in quella che è una realtà ben diversa dal bigliettino d’auguri che vogliono farti avere. Affrontare questioni complesse richiede una certa conoscenza, sostenuta da una non meno essenziale capacità di argomentare concetti ed esporre idee in maniera franca e aperta. La comprensione richiede più sforzo di quanto ne occorra per sparare opinioni e cose a caso.

Smettetela con questa caccia alle streghe, e considerate piuttosto le sfumature di ognuno, tenendo presente che l’essere umano può cambiare e imparare se, invece di dargli addosso, lo ascoltate. Non soffocate il dibattito con l’inflessibilità di un’idea che punta i piedi come un ragazzino costretto dai genitori a mangiare gli spinaci. Accogliete la diversità di pensiero e proponete soluzioni alternative, anziché imporle pretendendo che si faccia come volete voi. Il filosofo greco Epitteto (eh sì, incredibile ma vero, ho studiato un po’ di filosofia) disse: Dio ci ha dato due orecchie, ma soltanto una bocca, proprio per ascoltare il doppio e parlare la metà.

In breve, smettetela di storcere il naso difronte a chi non ha la vostra stessa istruzione. Sapete, l’intelligenza non è l’unico indicatore di valore umano, ci sono cose più importanti che fanno di donne e uomini delle vere donne e dei veri uomini. Siate disposti a scendere in campo e a lavorare per un mondo migliore, piuttosto che rintanarvi nella frescura e condannare chiunque osi dissentire. La presunzione è una brutta bestia, e quella della maggior parte di voi potrebbe scoprire un’inaspettata opportunità di crescita, se soltanto foste disposti ad alzarvi per andare a vedere com’è la situazione là fuori.

Un’ultima cosa, prima di chiudere: la vessazione dei più deboli e dei meno fortunati è una pratica disumana e dannosa che, troppo spesso, scaturisce dal “filosoficamente ipocrita”. Il dover sopportare giudizi spietati e discriminatori da parte di chi si crede superiore ha, purtroppo, il più delle volte, conseguenze devastanti sulle persone meno fortunate (finché il sottoscritto, contadino di provincia, non arriva e mette fine al confronto asfaltando il sapientone di turno con una serie di congiuntivi infilati uno dietro l’altro come un vocabolario stampato di fresco. Questa, amici, è un’altra storia che magari un giorno racconterò). Anziché discriminare i meno abbienti, siffatte figure erudite dovrebbero tendere la mano per aiutare chi ha bisogno di sostegno e lavorare per una società più inclusiva, dove le differenze vengono celebrate e non represse. La vera intelligenza è questa, non un titolo di studio stampato su un pezzo di carta o un conto in banca a otto zeri.

Quindi, a tutti i cervelloni in ascolto: la superiorità intellettuale che tanto amate può valere qualcosa solo se è il motore di un cambiamento al quale vale la pena contribuire senza sentirsi schiacciare dal prossimo. È il momento di dimostrare cosa siete capaci di fare.

Ogni riferimento a cose o persone è puramente casuale (mica tanto).

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