Semplicità nel “viaggio”…
Il resto è vanità.
Il pianeta corrispondente all’asteroide 326 è il luogo dell’incontro/scontro del Piccolo Principe con il sentimento della vanità. Questa gli si materializza davanti, gridando forte ai suoi orecchi e bramando la sua ammirazione. Infatti, un personaggio senza nome, che quasi incarna la vanità, si presenta al Piccolo Principe in piena crisi di astinenza: quella di una seppur momentanea e monotona acclamazione.
Vanità, come suggerito dal testo di una canzone, cerca l’immortalità nel fugace plauso di quello che, ai suoi occhi, è un dio capace di nutrirne il bisogno di sopravvivenza. Ma si sa, gli applausi, anche quelli da record, sono destinati a esaurirsi prima o poi; sarebbe, dunque, ridicolo continuare a scappellarsi quando non vi sia più alcun interesse da parte degli spettatori.
L’attenzione del principino non dura che cinque minuti e il suo divertimento cede il passo al tedio della ripetitività. Egli prova con i mezzi dell’intelligenza creativa a spezzare le proiezioni narcisistiche del vanitoso, chiedendogli se ci sia qualche probabilità che il cappello potesse cadere.
Vanità, tuttavia, non intende questo discorso e dissimula in ogni modo per non assecondare la realtà, secondo la quale la caduta del cappello starebbe a significare il venir meno della sua essenza vanagloriosa e, in ultima analisi, del senso stesso della sua esistenza.
Ascoltare solo quello che si vuole, quando se ne abbia voglia e qualora convenga, è il modo operativo di chi cerca di spiegare, attraverso una simulata semplicità di linguaggio, che si è degni d’essere ammirati perché non vi sarebbe di meglio da fare e, addirittura, persona migliore da incontrare.
Condannato alla solitudine, il vanitoso comincia a supplicare chi, per onestà intellettuale, non può che partirsene da lui, per scrollarsi di dosso i bizzarri effetti dell’incontro con chi si nutre soltanto di parole adulatrici. Aiutati dallo stile del Piccolo Principe, ciascuno possa continuare in semplicità il proprio viaggio, rifuggendo dai propri e altrui moti di vanto, che intossicano la vita.