“Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry – Capitolo XXI

L’arte di essere umani…

Un decalogo “essenziale”.

 

Il Piccolo Principe è maestro, non solo di gentilezza, di buona educazione, ma anche di “ovvietà”; egli, infatti, sembra non aver smarrito quella pratica di civiltà che consiste, prima di tutto, nel salutare una persona quando la si incontra oppure nel dire “buongiorno” quando si entra in un luogo abitato da altre persone. Evitare il saluto è via alla graduale disumanizzazione dei rapporti umani.

Il processo di “umanizzazione” in corso negli esseri umani è qualcosa che si evolve o regredisce in base agli incontri che si fanno durante l’arco della vita. Qualche anno fa, si sentiva cantare “senza qualcuno, nessuno può diventare un uomo”. Questo “qualcuno”, per il principino è rappresentato dalla volpe.

Al di là degli stereotipi, antichi e nuovi, oscillanti tra i tratti caratteriali della stupidezza e della furbizia, la volpe è qui simbolo di una maestra di vita, una guida che ha funzioni iniziatiche nell’apprendimento dell’arte di essere umani.

La lunghezza di questo capitolo cruciale per il significato dell’intera opera, favorisce la raccolta di una specie di compendio, una sorta di vademecum, col quale confrontarsi per verificare a che punto è il cammino di crescita umana in ogni persona.

Ecco un decalogo per crescere nell’arte di essere umani:

Addomesticare, ovvero ricordare di creare legami significativi e duraturi, considerando il bisogno che si ha di persone amiche, ciascuna con la propria unicità.

Lodare, cioè fare dei complimenti a qualcuno, esaltandone qualche qualità, non solo esteriore, per non correre il rischio di adulare, ma come contemplazione della bellezza presente in ciascuno e come rimedio alla propria tristezza.

Essenzializzare, oltre ciò che gli occhi riescono a vedere o gli sguardi a capire, il tempo da dedicare alle persone amate, né accorciandolo né pretendo di espanderlo senza che ve ne siano le condizioni, avendo cura di “perdere responsabilmente tempo” con chi, per noi, è più importante.

Scusare, allenarsi, cioè, nella comprensione dei diversi tempi di maturazione di ogni rapporto umano, favorendo un addomesticamento graduale e permanente, affinché si possa diventare l’uno “casa” per l’altro.

Sospirare, sia nell’espressione fisica di un respiro profondo e prolungato sia nell’esercizio delle proprie peculiarità, l’appagamento di ogni anelito di vita, imparando dal “fruscio del vento nel grano”.

Amare, sperimentando un “vuoto”, quello da fare per una gratuita accoglienza di nuovi amici, senza volerne comprare l’affetto o mercanteggiarne gli effetti, nella pazienza di essere, per primi, una presenza amica.

Narrare, facendone dono a chi sia ben disposto ad ascoltare consigli amicali, il segreto di un approccio non banale alla vita, e che consiste nel rischio di scontrarsi con la sofferenza propria e altrui, per provare a essere veramente felici.

Danzare, come il grano sospinto dal vento, sulle note di passi che stanano le solitudini, cambiando i paurosi rumori in una dolce musica, trovando riparo in chi ci si è preparati, per tutta una vita, a incontrare.

Ritualizzare, ossia fissare in “gesti e parole intimamente connessi”, gli appuntamenti più importanti, come segno di una fedeltà che fa nuova ogni relazione, che fa nuovi gli stessi gesti, che fa nuove le stesse parole, nella creatività dell’amore.

Ascoltare, lodi e lagne, virtù e vanti, silenzi e sproloqui di quella “rosa”, bella più di centomila roseti, unica e vera compagna di vita.

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