“I promessi sposi”, di Alessandro Manzoni – Capitolo XI

Nessuno vorrebbe essere corretto da qualcuno…

Il tema della “correzione”, cosa quanto mai necessaria ma altrettanto ripudiata ai nostri tempi, emerge dalle parole e dai gesti che il Griso, capo de “i bravi”, incaricato da don Rodrigo per il “ratto” di Lucia, rivolge al proprio mandante, a margine del fallimento, causato da una soffiata, della sua missione:
“L’è dura, – rispose il Griso, restando con un piede sul primo scalino, – l’è dura di ricever de’ rimproveri, dopo aver lavorato fedelmente, e cercato di fare il proprio dovere, e arrischiata anche la pelle”.
Il lettore del romanzo manzoniano esulta per lo sfumare dell’opera cattiva tramata da don Rodrigo ma, allo stesso tempo, può riflettere sul valore della “correzione”, anche se, nell’ottica del testo, il motivo del rimprovero ha per oggetto una causa intrinsecamente cattiva, dalla quale prendere, ovviamente, le distanze. Quando, però, chi legge cerca d’immedesimarsi nella persona che viene corretta, pur raffigurandosi una fattispecie diversa o addirittura contraria e improntata perciò a modalità d’espressione oneste, buone e giuste, allora il suo sorriso scema in una mimica facciale di perplessità.
C’è da dire che, nel bene o nel male, il primo rimprovero procede dalla coscienza umana e tutto ciò che vi si aggiunge dall’esterno, spesso, non fa altro che alimentare le fiamme di un’ira mista a un orgoglio ferito; tra le righe del racconto, infatti, non dovrebbero sfuggire due sottili dinamiche: la prima, che fa risaltare come, mentre il Griso rimugina sul suo “fiasco”, il suo padrone gli rivolga, con toni arrabbiati e beffardi, e in modo che anche altri potessero sentire, parole quali “signore spaccone, signor capitano, signor lascifareame”; la seconda, che mette in evidenza l’atteggiamento corporeo, rigido e rallentato, del Griso in conseguenza proprio del biasimo ricevuto.
Sembra quasi un calcolo matematico: rimproveri dall’interiorità + rimproveri dall’autorità = reazioni di rimpianto, di recriminazione e di rivalsa. Risonanze di parole e gesti che esprimono il contrario del meglio di quanto un essere umano possa produrre nel campo delle proprie relazioni. Ci sarà ancora occasione per approfondire questo argomento così delicato e intricato; al momento, basti sapere che, in rapporto alla bontà delle intenzioni dell’operante e dell’oggetto del rimprovero ricevuto (commettendo, cioè, un errore pur avendo la volontà di fare bene una cosa buona), la correzione può essere un bene, anche se, purtroppo, quasi mai, vien fatta con quelle parole e quei gesti esigiti dal rispetto della dignità umana della persona da correggere e quasi sempre risulta gravosa per chi ne è, anche se giustamente, il destinatario.
Griso, quello che tu fai non ci è per niente caro, eppure dobbiamo ammettere che non siamo affatto differenti da te, in quanto capacità di accettazione delle correzioni ricevute, anche se noi abbiamo, per così dire, l’aggravante di intenzioni e finalità buone perseguite con modalità non buone o semplicemente non gradite a chi, nei diversi ambiti esistenziali e sociali, ci governa. Nessuno di noi, proprio come te, vorrebbe ricevere un processo alle intenzioni, sul perché si è agito in una determinata maniera, e tanto meno “subire” rimproveri per ciò che si è fatto, per come, dove, quando e nei confronti di chi ciò sia stato fatto o detto.
Nessuno vorrebbe essere corretto da qualcuno, ma senza “qualcuno” che ci corregga rischiamo di essere tanti emeriti “signor nessuno”; infatti, non sempre non aver niente di cui rimproverarsi o essere rimproverati è indice di uno stare a posto con la propria coscienza ma, forse, versiamo proprio nella necessità di qualcuno che ci aiuti ad aprire gli occhi sulla realtà, per fare ammenda di subdoli misfatti o di sofisticate omissioni oppure di mistificate compromissioni. E tu, sei giunto a quella maturità umana che ti fa dire “grazie” a quel “qualcuno” che ha fatto, nei contenuti anche se non ancora nei modi, nei tuoi confronti, un rimprovero? Se ci allenassimo a essere corretti e a correggere, in un regime di reciprocità, sarebbe la nostra relazionalità benevolente a render dolce persino un richiamo, mutando la sofferenza di ricevere o anche di fare un ammonimento, affrontando da adulti “signor qualcuno” un dialogo finalizzato a un’umanizzante correzione narrante.

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