“I promessi sposi”, di Alessandro Manzoni – Capitolo XIII

L’aiuto di Dio nei problemi…

Il contesto della frase scelta per questa riflessione, è di non facile ricostruzione; dunque, mentre si rimanda alla lettura personale del capitolo in questione, si evidenziano alcune linee direttrici intorno alla frase seguente:
“…aqui està el busilis; Dios nos valga!”.
La frase, che nell’insieme della narrazione alimenta un fastidioso modo di parlare un italiano spagnoleggiante, si offre a una duplice pista di riflessione.
1. Essa, innanzitutto, è riportata come un pensiero inespresso, una sorta di parlata a fior di labbra in modo che nessuno, oltre chi la pronuncia, possa comprendere. Nella sua prima parte, inoltre, può essere soggetta a svariate interpretazioni; ciascuna di queste, tuttavia, porta a galla un’ambiguità che danneggia in modo maldestro gli ascoltatori e ottiene, addirittura, di captarne un’inaspettata benevolenza. “Il punto capitale”, “il nocciolo della questione”, “il cuore del problema”, “el busilis”, in fondo, quale è? Se la risposta non è “provvedere il pane alle persone”, ma “preservare il potere personale”, allora si capisce quel silenzio pensoso e penoso. Quest’ultimo è lo stato d’animo di chi non si dà posa pur di puntellare il proprio prestigio di “meriti”, frutto di una benevolenza simulata, provvisoria e funzionale al proprio tornaconto.
2. La seconda parte della frase, sembra far emergere una pia invocazione rivolta a Dio; eppure, essa non ha niente di religioso; ancora oggi, infatti, per citare un esempio negativo estremo, esiste il fenomeno della religiosità deviata e deviante di persone – spesso al di sopra di ogni sospetto – affiliate ad ambienti malavitosi, che, nel prepararsi a espletare le proprie delittuose malefatte, pregano per impetrare l’aiuto del Dio della vita, per ottenere la “morte” di qualcun altro. In realtà, una tale dinamica sottende una triste verità: il “dio” al quale questa gente sacrifica il superfluo delle proprie “preghiere”, del proprio tempo e anche della propria parte di beni, pensando di ottenere, con l’aiuto della divinità, il raggiungimento dei propri loschi obiettivi, mette in luce, piuttosto, l’elezione del “problema” stesso come un dio; questi è ritenuto ascoltatore, mentre è un idolo sordo, perché non sia mai che si riveli diverso da quella spietatezza “comprata” a così buon prezzo; esso, inoltre, è muto, affinché possa dire solo ciò che aggrada il suo “devoto”; infine, è cieco, poiché non deve vedere se non ciò che si vuole porre alla sua attenzione, ristretta intorno al proprio egoismo e con un campo d’azione limitato agli interessi personali del “pio” orante.
Chi di noi, guardando alla propria esperienza, non ha mai imitato questa indignitosa e pericolosa condotta? Uno studente, che prega per la buona riuscita dell’interrogazione, senza aver studiato a sufficienza, coltivando un atteggiamento parassitario; un lavoratore, che implora per la salvezza dei suoi affari e ha salariati a nero e/o sottopagati, alimentando nuove forme di schiavismo; una persona, che vorrebbe vedere dei miglioramenti nelle sue relazioni, supplica per questo, ma non contempla la possibilità del perdono, arrivando persino all’eliminazione fisica di chi diceva di amare. Sono solo alcuni degli esempi che si potrebbero fare, ma esprimono tutti un bigottismo esasperato ed esasperante, tossico e asfissiante per se stessi e per gli altri, indice di una falsa pietà, foriera di esaltazione religiosa e generatrice di ogni aberrante follia, anche solo concepita dalla mente umana. Anche e soprattutto i credenti delle tre grandi religioni monoteistiche, sono chiamati a fare attenzione a tal specie di tentazione quando invocano l’aiuto di Dio nei propri problemi.
Signor Ferrer, lei è un miserabile, perché non crede a ciò che dice e si prende gioco dei miseri! Non sa, infatti, che un vero credente non dice a Dio quanto sia grande il suo problema, ma, di fronte al suo problema, ricorda quanto sia grande il proprio Dio. Chiunque creda, non invoca Dio per riceverne una prestazione che disimpegna, ma lo considera come il “movente” dei propri migliori sforzi. Chi riconosce Dio, come fonte della propria forza e del proprio coraggio, non prevarica sugli altri e non approfitta dell’altrui debolezza, ma, come il Dio in cui crede, difende con forza i diritti dei derelitti e diffonde con coraggio la cultura della gratuità, ed è proprio mediante esseri umani così che si può ricevere, come una mano tesa, sempre pronta ad aiutare a mai ad arraffare, un aiuto narrante.

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