“I promessi sposi”, di Alessandro Manzoni – Capitolo XXI

La vita in esame…

Una sorte comune agli esseri umani, in qualsiasi tempo della storia e stagione di vita, in qualunque luogo del mondo e condizione esistenziale, pur nella differenza di culture e culti, è quella che potremo definire come “il momento della resa dei conti”. Esso non coincide necessariamente con i giorni conclusivi del proprio passaggio sulla terra, ma, certamente, segna una linea di confine, una sorta di “morte a sé stessi”, una forma di vita nuova, che, di solito, viene percepita dalla persona, che attraversa questo processo di ri-con-versione, appunto come la versione finale del proprio “sé”, con la speranza che essa possa coincidere anche con la fase migliore.
Questa premessa introduce e spiega, a un tempo, l’esperienza vissuta dall’Innominato, durante quella sua “nottata” terribilmente lunga e tormentata. Questa, però, è simile a un travaglio, che lo porterà a dare alla luce, come a partorire, un suo nuovo modo d’essere al mondo. Le doglie, quelle che lacerano nel corpo, sono una potente immagine di quanto si arrivi all’acme del disgusto e del non-senso dell’umano vivere anche in quelle occasioni dove a essere dilaniata è, invece, la coscienza.
La minuziosa descrizione degli stati d’animo dell’Innominato risulta estenuante, non solo perché “esageratamente” particolareggiata, ma anche perché, ancora una volta, veniamo messi al cospetto di una vita, nella quale siamo quasi costretti a specchiarci. Tutti, infatti, sperimentiamo quella debolezza, che svela la vacuità del nostro presunto vigore. Per l’Innominato, l’episodio scatenante, è l’essere inerme di Lucia, che riesce a scalfire, con pianti e preghiere, la corazza di quel cuore, il quale, improvvisamente, scopre di essere umano.
È il cuore di carne, dunque, che già spinge, con l’impetuosità di chi vuole nascere a tutti i costi, conducendo, come evidenziato nello scritto manzoniano, a manifestarsi nei seguenti termini:
“e il tormentato esaminator di se stesso, per rendersi ragione d’un sol fatto, si trovò ingolfato nell’esame di tutta la sua vita”.
Caro è, a noi, il tuo tormento, Innominato, e cara la tua vita in esame; cari, perché, appartengono al consorzio umano, alla carne e alla coscienza di tutti. Con te aspettiamo che “‘adda passa’ ‘a nuttata” (Eduardo De Filippo, “Napoli Milionaria”), affinché il nostro vivere possa splendere in quella novità che renda, la nostra, una nottata narrante.

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