Istanbul e la Cappadocia, mare e montagna, città e deserto, caos e quiete.
Istanbul e Kayseri due città agli antipodi tra loro, ma coerenti nella stridente contraddizione di un Paese, quello turco, che vive di antinomie.
La bolgia di Istanbul ed il silenzio delle valli desertiche e rocciose della Cappadocia.
La capitale è una esplosione che lancia ovunque schegge di disordine, ammassato in una città capiente che contiene due lati opposti tra loro. Il lato occidentale, moderno ed estroverso e quello orientale, conservativo e arroccato nella difesa della propria identità culturale. L’uno non infastidisce l’altro tenendosi a debita distanza. Due aspetti che rispecchiano l’attuale esigenza turca, fatta di una necessaria conservazione culturale e di una obbligata apertura modernista per non rimanere tagliata fuori dal mondo europeo.
Istanbul è un tumulto di traffico indisciplinato, stradine di piccoli borghi sovraffollati da mercanti di ogni genere, che avvolti dai loro turbanti colorati trasportano a mano qualunque mercanzia possa essere negoziata.
Nella capitale si alternano moschee e minareti, porti e navi. Meditazione, preghiera, chiasso e silenzio, ogni cosa è veicolo di dirompente movimento.
Ogni giorno si apre con l’alba di un sole che non conosce bandiere. Il muezzin recita l’adhān chiamando alla preghiera i credenti.
Nel chiamare gli osservanti alla Moschea, il Muezzin ricorda a chi è in ascolto che Dio è grande e unico, che è l’unico creatore e Signore dell’universo e nessuno può condividere questa sua sovranità. Nello stesso momento le pause si alternano ai precetti religiosi in cui la voce diffusa dagli altoparlanti del Minareto ricorda che Maometto è il profeta e l’unico interprete della volontà religiosa; la maggiore aspirazione di ogni musulmano è mirare a una vita di eterna felicità.
Un rito che si ripete per cinque volte al giorno.
Come ogni sera, arriva il crepuscolo ed il giorno lascia spazio alla notte. Sullo sfondo del tramonto turco del Mare di Marmara, la litania del Minareto accompagna la città al suo ultimo precetto. I colori sono diffusi, il rosso aranciato e una cornice perfetta per una città unica che lascia dubbi ed interrogativi.
E’ una bolgia quella di Istanbul, che accoglie i doverosi silenzi di raccoglimento religioso. Tutto vive e tutto si placa fino a finire per poi ricominciare il giorno successivo in un’eterna alternanza tra antico e moderno, tra Dio e denaro, tra necessità e volontà.
Basta spostarsi in Cappadocia per trovare la pace del silenzio. Le enormi valli di roccia e radure pietrose, lasciano spazio alla ricerca introspettiva.
Momenti di riflessione, quiete interiore illuminata dal sole implacabile che illumina a giorno i colori sabbiosi dei “Camini delle Fate” opera di due vulcani ormai inattivi: l’Erciyes e l’Hasan.
Tutto si ferma, il sole è alto e padroneggia l’azzurro del cielo comune, le Fate bisbigliano domande e le anime raccolgono le provocazioni: perché sei qui?
E l’anima risponde alla Fata: “sono qui perché io sono il viaggio”
Vedi di più nella sezione see you around
Trovi molte altre foto nella pagina Instagram di Vite Narranti